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LA REPUBBLICA La Roma si prende un match rovente. Il Genoa furibondo vede il complotto

Esultanza
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(E. Sisti) – Millimetri e la Roma, dominando soprattutto in parità numerica, torna a meno uno della Juventus. Il veleno come sempre spunta assassino nella coda. L’assistente Costanzo s’inventa un corner dopo una testata di Perotti a Cholevas. Segna Rincon. L’indaffaratissimo Costanzo alza la bandierina: il fuorigioco c’è ma è “borderline”. Festa abortita a Marassi. Se il Genoa avesse pareggiato in dieci all’ultima curva la Roma avrebbe compiuto l’ennesima follia autodistruttiva. Tornando a casa, vagamente storna, si sarebbe ritrovata con un pugno di mosche vive e appena un punto nello zaino.

Una partita rovente, con un divario imbarazzante a centrocampo e alcune decisioni arbitrali che i genoani hanno giudicato inique e a una sola direzione. Superiori in tutto, i giallorossi hanno rischiato di pareggiare in ragione di paure inspiegabili, tutte loro: negli ultimi quindici minuti si son visti costretti da chissà quali demoni agonistici a soffrire l’entusiasmo terminale dei padroni di casa. Aveva sprecato l’impossibile, la squadra di Garcia, non trovando mai sotto porta l’equilibrio psicologico, o tecnico, per concretizzare la dinamicità ritrovata del suo possesso palla. In mezzo al campo i giallorossi aggiravano le marcature a uomo disposte da Gasperini come se stessero giocando ai quattro cantoni. Troppo lento Rincon, timido Bertolacci, isterico Sturaro. Troppo calmo Keita, talentuoso Pjanic, devastante Nainggolan. E Maicon, mai pressato, non ha sbagliato nulla per un’ora.

L’espulsione di Perin per la solita, controversa regola del fallo da ultimo uomo (29’) ha aumentato la differenza, in effetti eccessiva anche prima, se si tiene conto che si sfidavano seconda e terza in classifica. L’azione che genera il rigore nasce da un brillante disimpegno di Florenzi nella propria area, la difesa genoana si allarga come un compasso, Pjanic s’infila, Perin mette giù Nainggolan. Lamanna respinge il tiro dal dischetto di Ljajic. È il suo primo intervento ufficiale in serie A. Piovono battute sulla manna dal cielo. La Roma però è quella vera, densa, mirata, funziona come un orologio e ostenta una palese voglia di scrollarsi di dosso l’umido della Champions perduta. Maicon strappa il pallone al morbido Perotti, dopo una possibile simulazione non punita di Ljajic, e crossa con uno scavetto di classe purissima, botta di genio e piedi d’altri tempi. Nainggolan (non si capisce se più onnipresente o onnipotente) s’inventa una mezza girata al volo di collo esterno abbassandosi con il corpo quanto serve, non un centimetro di più. Roma in vantaggio (40’). Di rabbia il Genoa arriva al tiro con Matri (per il resto spettrale). Nell’intervallo Gasperini si fa cacciare da Banti. La Roma torna in campo rilassata, nel Genoa c’è Perotti punta. I centrali giallorossi sono entrambi ammoniti, così l’unica chance dei padroni di casa sarebbe di at- taccare centralmente con percussioni individuali per snidare gli eventuali limiti di Astori (lui e Pjanic salteranno il Milan per squalifica) e Yanga-Mbiwa. Invece i due non rischiano nulla. Per venti minuti i ragazzi di Gritti, vice di Gasperini, non vedono palla. Quando entra Pinilla, misteriosamente la Roma sente il fiato sul collo di un avversario teoricamente già sotto la doccia. Com’è noto, il cileno non è Cristiano Ronaldo, eppure basta per stranire il sistema. Nessun pericolo reale, solamente una sordida agitazione che soprattutto Gervinho (26’), dopo un errore di Roncaglia, e Iturbe (42’), avrebbero potuto evitare raddoppiando a tempo debito, rendendo inutili gli ardori finali. Il sipario cala con rete annullata e parapiglia.

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