DOPO PARTITA La lettura dell’incontro di Paolo Marcacci

Roma-Fiorentina

L’ideale, oggi, sarebbe stato trovarsi nella posizione di uno spettatore neutrale o, al massimo, interessato come gli juventini con ogni tipo di vento in poppa. La cosa assolutamente da evitare, invece, trovarsi a fare il portiere: per informazioni, rivolgersi al reattivo anche se precario nell’equilibrio De Sanctis e a un Neto quasi irriconoscibile, in positivo. Del resto si sa che la Roma eccita qualsiasi portiere più di quanto una telecamera ecciti Matteo Renzi, tifoso viola che comprensibilmente oggi ha disertato le primarie dello scudetto.

Si resta in due, a questo punto e già questo basta a illustrare il concetto di quanto siano provvidenziali questi tre punti, che rimettono in asse la mente e il cuore di una squadra che stava per ritrovarsi di fronte al dubbio sulla propria identità: legittima aspirante al titolo o duellante nella bagarre per l’Europa che conta? Il fendente di Mattia Destro sculaccia i timori di chi cominciava a paventare il ridimensionamento e a tacciare di illusione collettiva quanto fatto fino a ora da Totti e compagni. Totti, già: sarà un’impressione ma basta l’aria serena del Capitano in panchina – velata alla fine da un’ombra di delusione per il mancato ingresso – a portare fortuna e consapevolezza, in una partita in cui si soffre quanto era prevedibile e si hanno più spazi di quanti ne suggerisca alla fine il risultato.
La Viola non butta mai via un pallone, si sapeva: preferisce la raccolta differenziata di un centrocampo senza Pizarro, che manifesterà la sua ombra da ex alla fine, e con fosforo e palleggio da vendere. Tante le frecce all’arco di Montella, soprattutto per le soluzioni dalla distanza, come dimostra il pareggio di Vargas.

Pjanic somma i cartellini, ne bastava uno solo per precludersi San Siro; si soffre nella misura in cui si cavalcano praterie di ripartenze: Gervinho è il nostro Abebe Bikila lanciato su tacchetti che a volte impazziscono, a volte risolvono – come nell’occasione del primo vantaggio – e altre ancora resuscitano azioni ormai agonizzanti. È incredibile, nel frattempo, come Orsato e i suoi, Russo in testa, non si accorgano di certi falli a metà campo degni degli agguati di “Arancia meccanica”. Lo ribadiamo oggi, giorno dei tre punti che sono più dolci del primo panettone: questi arbitri rischiano di compromettere aspirazioni legittime e una cavalcata che può essere tanto appassionante quanto sorprendente. Ne saremmo delusi persino se fossimo juventini, per come siamo fatti NOI.

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