GAZZETTA DELLO SPORT Un viaggio nei derby dell’altro mondo

Curva Sud

(M. Mazur) –  Il derby argentino più famoso al mondo è BocaRiver. Cento anni fa, le due squadre appartenevano allo stesso quartiere, vicino al porto della Boca, la zona più vivace della città di Buenos Aires, piena di immigrati italiani. Ma il River si trasferì nel quartiere chic di Recoleta e da lì iniziò lo sviluppo aristocratico fino a diventare un club sociale con una grande accoglienza (e soldi) e un soprannome caratteristico: los millonarios. Invece il Boca restò nel quartiere e si trasformò nella squadra del popolo, vicino alle pizzerie italiane e alle case comunali dove si parlava in dialetto genovese: così il Boca adottò il soprannome di xeneizes. Le distanze erano già incolmabili.

Cartellini rossi Ecco come è nato il superclásico, ovvero il classico dei classici fra le cinque grandi di Buenos Aires. Di solito, il superclásico garantisce folclore in tribuna e cartellini rossi in campo. Sono partite giocate a denti stretti e con più emozioni che gol. Ma contrariamente a quello che si pensa, BocaRiver non è il derby più passionale dell’Argentina. Bisogna viaggiare 300 chilometri direzione Nord, fino a Rosario, la terza città del paese, per scoprire il vero Old Firm albiceleste: Il Rosario Central contro il Newell’s Old Boys.

E tassisti A differenza di Buenos Aires—che dopo Londra è la città al mondo con più squadre di calcio —, a Rosario ce ne sono solo due: il Central e il Niuls (chiamatela così se andate a Rosario). A Rosario il calcio si vive alla romana tra Canallas e Leprosos, anche questi soprannomi di una vecchia rivaltà tra poveri e ricchi. L’aristocrazia delNewell’s, figli di una scuola anglotedesca, contro il popolo centralista. Lì il derby nazionale non interessa tanto; il cuore della città, dai parruchieri e padroni dei bar, a operai, camerieri, studenti e poliziotti, batte intorno al clásico rosarino. È l’unica città in tutta l’Argentina dove non c’è spazio per tifosi del River o del Boca. A Rosario i tassisti sono capaci di far scendere un passeggiero se scoprono che tifa per i rivali. Nelle giovanili del Newell’s e del Central sono cresciuti centinaia di calciatori importanti, da Messi a Batistuta, da Sensini al Kily González. Dopo tre anni in B, il Rosario Central è stato promosso e a ottobre tornerà il derby. Sarà due settimane dopo RiverBoca, ma nelle strade di Rosario, come accade soltanto a Roma, del derby si parla da tempo.

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Niente è come il «FlaFlu » Tra gli eroi c’è pure Renato (A. Seu) –  Noi li chiamiamo derby, in Brasile invece sono «clasicos », ma nella sostanza cambia poco. Stessa passione viscerale e identica tensione incontenibile attorno a sfide che valgono l’intera stagione, perché se i brasiliani vivono il calcio come una religione sono i «clasicos» a scatenare tutto il fervore e la mistica della «torcida ». Nell’attuale Brasileirão si contano almeno una quindicina di stracittadine ad alta tensione», ma sono ben 22 quelle che, per la popolare rivista Placar, descrivono l’essenza del calcio brasiliano.

Il mito del «FlaFlu » Ogni metropoli ha la sua sfida infuocata: VitoriaBahìa a Salvador, GremioInternacional a Porto Alegre, CruzeiroAtletico Mineiro a Belo Horizonte e CorinthiansPalmeiras a San Paolo. Ma nessun «clasico» è paragonabile a un FlamengoFluminense, uno dei dieci derby più caldi di tutto il mondo secondo una classifica stilata dalla BBC. Celebrato dal poeta Nelson Rodrigues e alimentato dalle cronache di Mario Rodrigues Filho sulle pagine del quotidiano Critica, a metà del ‘900, il mito del «FlaFlu » si racconta attraverso 101 anni di sfide memorabili, che portano la firma di campioni del calibro di Telé Santana, Zico, Dirceu, Socrates, Junior, Romario e Bebeto. Tra le leggende c’è anche l’ex romanista Renato Portaluppi, eroe «tricolor » dopo l’incredibile gol di pancia che decise la finale per il titolo statale nel 1995 contro i rivali di una vita. Dal 1912, per l’esattezza, quando da una «costola» del Fluminense nacque il Flamengo, secondo un copione che ricorda da vicino la storia di Milan e Inter.

Sinonimo di Brasile Come cornice, da sempre, il tempio del Maracanã, che nel 1963 fece registrare il record mondiale di spettatori (194.603) in occasione di un «FlaFlu » decisivo per il titolo Carioca. Erano gli anni ruggenti del «clasico » più «charmoso», come lo battezzò Rodrigues Filho, con buona pace di FlamengoVasco, che coinvolge le due tifoserie più numerose di Rio de Janeiro. Il fascino del «FlaFlu », oggi, è sempre lo stesso, anche se il nuovo Maracanã contiene appena 74 mila spettatori. Perché, come ha decretato Placar in un’edizione speciale del 1970, «FlaFlu è sinonimo di Brasile». Addirittura «l’essenza del calcio», per riprendere le parole di Rodrigues Filho, «tutto il resto è paesaggio »

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I morti di Soweto e gli incubi di Mostar (G. Adaglio) –  In America la chiamano crosstown rivarly, che equivale grossomodo alla nostra stracittadina. Per tutti gli altri – sì, anche per i francesi – è il derby. E di derby è pieno il mondo, anche nei luoghi più remoti.

Tragedie In Sudafrica la sfida più calda si gioca a Johannesburg, precisamente a Soweto: nella township più grande del Paese, teatro principe della lotta all’apartheid, a contendersi la supremazia calcistica sono gli Orlando Pirates e i Kaizer Chiefs. Questi ultimi furono fondati nel 1970 proprio da un ex giocatore dei pirati, Kaizer Motaung, tornato in patria dopo una fortunata carriera da professionista negli Stati Uniti. Quando si gioca il derby la città si paralizza e le principali arterie stradali vengono chiuse al traffico. Tutti vogliono assistere all’incontro, talvolta con tragiche conseguenze: nel 1991, in occasione di un’amichevole (!) tra le due squadre giocata all’Oppenhaimer Stadium di Orkney, persero la vita 42 persone, calpestate e schiacciate contro le recinzioni in una dinamica tristemente simile a quella dell’Heysel. Dieci anni dopo il dramma si ripeté a Johannesburg: 43 morti, causati dall’afflusso incontrollato in un Ellis Park già stracolmo di gente.

Questioni sociali La cronaca s’intreccia spesso con il calcio anche in Egitto, dove il derby più sentito – ed anche il più violento – è quello della capitale tra AlAhly e Zamalek: si tratta delle due squadre più vincenti di tutto il continente (rispettivamente 7 e 5 Champions africane in bacheca), ma quel che accende la sfida sono per lo più questioni sociali e politiche. La rivalità è così intensa che la federazione locale da tempo non assegna la direzione della partita a un arbitro egiziano: meglio un fischietto straniero, (teoricamente) libero da pressioni. Era così fino a qualche anno fa anche a Teheran, nelle sfide tra Persepolis e Esteghlal: negli ultimi tempi c’è stata un’inversione di tendenza, ma il derby tra le due principali squadre della capitale iraniana resta l’incontro più sentito di tutta l’Asia. Il Persepolis storicamente rappresenta la working class, mentre l’Esteghlal i ceti più abbienti.

E religiose Non solo differenze sociali, invece, a Mostar: nella seconda città della Bosnia gli incontri tra Velež e Zrinjski riaccendono tensioni mai sopite dai tempi della guerra. Le due squadre provengono dai lati opposti della città, il Velež dalla parte Est, abitata da bosniaci musulmani, lo Zrinjski dalla parte Ovest, area di influenza croata.

Calore E se pensate che in Turchia la rivalità più accesa sia quella tra Fenerbaçhe e Galatasaray vi sbagliate: il derby più caldo si gioca a Smirne, tra Göztepe e Karsıyaka. Nel 1981 le due squadre si giocavano un posto nella massima serie: allo stadio si presentarono in 80mila, record per un incontro di seconda divisione. Per rivedere la sfida però bisognerà aspettare almeno un anno: nella scorsa stagione il Göztepe, pur vincendo l’ultimo derby 32 in rimonta, è retrocesso in terza serie.

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