IL SALVAGENTE Di Paolo Marcacci

L’aveva detto e ha mantenuto fede al suo “proclama” riservato, se perdonate l’ossimoro: così come era entrato, in punta di piedi, è uscito dalla Roma. In mezzo, una storia bellissima: la storia di Simone Perrotta, che ha corso in salita i suoi primi anni giallorossi; con la rara dote di rispettare il dissenso altrui e di giustificare i fischi che gli piovevano addosso, copiosi.

Una vita da mediano trasformatasi nel successo di un trequartista anomalo ed efficacissimo, inventato da Luciano Spalletti e glorificato dalla partnership tecnica con Francesco Totti: corridoi di velluto per gli spazi aggrediti da Simone, binomio di serate indimenticabili, quando i record erano in positivo e il senso di appartenenza ai colori non aveva bisogno di lezioni di slang.

L’uscita di scena che corrisponde al suo carattere non è però quella che la sua evoluzione di giocatore merita: un campionato del Mondo da titolare inamovibile e indispensabile per Marcello Lippi, Coppe Italia e Supercoppa che un paese calcisticamente meritocratico avrebbe fatto passare alla storia come aperitivo di uno scudetto sacrosanto, una continuità di rendimento che si spiega solo con la dedizione assoluta di chi ogni giorno si preoccupa di meritare i privilegi che ha.

Grande giocatore, Simone Perrotta: lo tratteniamo ancora un attimo sulla passerella della storia romanista che, per timidezza, ha percorso troppo in fretta al momento di uscire.

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