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GAZZETTA GIALLOROSSA La rinascita del calcio tedesco: un progetto virtuoso, un modello da imitare

La squadra sotto la Sudtribune

E’ sentimento comune che il calcio offra uno spaccato della società civile. In effetti così come nella politica, anche nell’universo calcistico si staglia sullo scenario europeo la figura della Germania, paradigma di riferimento da ammirare ed inseguire.

L’esito delle semifinali di Champions League ha ridefinito pesantemente le gerarchie, affermando la superiorità teutonica figlia di una gestione virtuosa e ben programmata nei minimi dettagli. Dopo il declino inglese, è la volta della Spagna finora salvata dalle performance di due squadroni d’eccezione (e voci fuori dal coro) come Barcellona e Real Madrid, letteralmente asfaltati dai panzer tedeschi in un mix di tecnica, organizzazione tattica e prestanza atletica, formidabili qualità ascrivibili ad una concezione lungimirante e dettagliata, quindi affatto casuale.

LE RADICI DELLA RINASCITA – Il verdetto amaro per i colori iberici sancisce una supremazia impressionante di matrice ideologica prima ancora che economica in un paese dove all’investimento sconsiderato di capitali in grado di garantire nell’immediato un beneficio aleatorio si è preferito una strada più lunga e tortuosa ma certamente densa di soddisfazioni durature. Il calcio tedesco fino a 10 anni fa sull’orlo del baratro, alle prese con risultati altamente deludenti, con un’età media assai elevata ed un tasso tecnico deficitario ha saputo reinventarsi nel tempo. Ha imparato dalle difficoltà a fare ammenda per poi affidarsi, come in politica, alle capacità e responsabilità gestionali di una classe dirigente con idee nuove, supportate dalla giusta dose di investimenti all’interno di un contesto favorito dalla semplicità delle istituzioni. Simbolo di questa rinascita è il Borussia Dortmund ancor più del Bayern che pur potendo contare su una solidità economica diversa ha perseguito la stessa strada del club della Westfalia. I gialloneri, sprofondati in crisi economica nel 2002, attraverso un’attenta gestione delle risorse, al lavoro degli osservatori e dello staff del settore giovanile, sono riusciti a risorgere nel giro di 9 anni passando per qualche sacrificio illustre come la vendita dell’allora Westfalenstadion, oggi Signal Iduna Park e l’istituzione di un tetto salariale. La costruzione certosina di una consapevolezza ed un senso di appartenenza secondo cui chi viene al Borussia non si sente di passaggio ma parte integrante di un progetto ambizioso fondato su molti giovani e qualche senatore di esperienza si deve a Jurgen Klopp e ad una mentalità tipicamente tedesca. Per il resto osservare tutti i calciatori – tra cui i partenti a fine stagione Gotze e Lewandowski per nulla distratti dal futuro – seduti a fine partita per gustarsi i festeggiamenti della Sudtribune (24.000 posti) è senza dubbio il successo più grande, sinonimo di una perfetta integrazione fra Società, allenatore, parco giocatori e tifo in un connubio simbiotico che esibisce il meglio di sé. Per aspera ad astra.

PROGETTUALITA’ E GIOVINEZZA – Le radici di questo impressionante successo, ottenuto attraverso la prestazione collettiva, di singoli eccellenti al servizio di un orchestra perfettamente guidata dai maestri Heynckes e Klopp – sintesi della tradizione e dell’innovazione, sapientemente coniugate secondo i canoni moderni – sono state gettate dieci anni orsono. Al tempo, il fallimento del sistema calcio tedesco, ridicolizzato nelle competizioni europee per club e molto spesso anche in quelle per selezioni nazionali, ha dato l’impulso al dialogo con le istituzioni, tradotto nella costruzione di impianti all’avanguardia, accortezza nell’utilizzo delle risorse finanziarie, puntando sui prodotti di un settore giovanile in grado, nei recenti anni, di sfornare talenti a profusione del calibro di Gotze, Gundogan, Kroos, Muller Reus,Ter Stegen, Hermann, Holtby,Draxler, Ozil; si potrebbe continuare all’infinito. Ragazzi giovani, motivati ma incardinati in un sistema dove il singolo non è mai al di sopra del collettivo, che assieme alla stabilità di società,esempio di coesione, svolge il ruolo di educatore, trasmettendo un nucleo di valori che concorrono alla formazione ed alla consapevolezza di questi nuovi enfant prodige, i cui comportamenti non risultano essere mai sopra le righe(contrariamente a quelli di casa nostra, vedi Balotelli) irreggimentati nel rispetto delle regole e dei compagni sia dentro che fuori dal campo. Insomma alla freschezza e all’ardore giovanile si unisce una profonda tradizione e senso di maturità, evidente nello stile di gioco dove a colpi di classe si alternano corsa in copertura e sacrificio a tutto campo. Una mentalità operaia unita all’organizzazione capillare, prerogative del nuovo calcio totale stile Germania. Dunque le due serate di Champions hanno fornito una lezione non solo di calcio ma soprattutto un modello da prendere come esempio da parte di tutti gli altri facenti parte del sistema calcistico ed in particolare da parte di quei signori che tengono in ostaggio il calcio italiano. Ab inopia ad virtutem obsepta est via

LA POVERA ITALIA – In relazione al Belpaese sono davvero molteplici le differenze in un confronto che risulta a dir poco impietoso. L’Italia da 15 anni a questa parte ha denotato poca lungimiranza risultando inesorabilmente ancora intrappolata in una pesante burocrazia, caratterizzata da interminabili tempistiche per consentire il rinnovamento di un impiantistica antidiluviana come dimostrano le difficoltà per ottenere il permesso al posizionamento della prima agognata pietra di un nuovo stadio. Peraltro il calcio italiano resta prigioniero degli interessi di quei pochi che in politica come nel calcio perseverano nella coltivazione del proprio, piccolo, orto foriero di effimere soddisfazioni al medievale manierismo delle Signorie(e certamente di introiti economici rilevanti quel tanto che basta a foraggiarne la continuazione del meccanismo ed il mantenimento dello stesso). Proprio come nell’assetto geopolitico quattrocentesco, nel nostro calcio regna la frammentazione ed il potere esecutivo, di fatto, non appartiene più alle istituzioni la cui sopravvivenza spesso si limita a ratificare le decisioni del Signorotto sulla falsariga di quanto avveniva nei comuni medievali. Un conservatorismo elitario, deleterio per la crescita del movimento calcistico italiano che si risolve in un sistema a dir poco vetusto ed anacronistico, il quale, assieme a calciopoli ed al calcioscommesse, ha contribuito progressivamente a depauperare il calcio italiano producendo una vera e propria diaspora dei migliori talenti, che se un tempo gareggiavano per venire nella penisola oggi migrano altrove portando il proprio patrimonio tecnico in altri contesti più sani.

L’inversione di tendenza del movimento calcistico tedesco sospinto dall’esigenza di far fronte al fallimento con un impegno serio verso il cambiamento, corroborato da investimenti oculati e ben ponderati nel corso degli anni, ha consentito la scalata alla vetta dell’Olimpo del calcio, partendo, ironia della sorte, da una posizione di netta inferiorità rispetto al calcio italiano, adagiato sul mantenimento dello status quo e surclassato anno dopo anno, fino alla perdita del quarto posto Champions, indice dello stato di salute dei campionati europei .

Ne deriva la necessità di ordine e stabilità sapientemente mescidati con investimenti coscienziosi ed una programmazione responsabile emergenti dall’affermazione teutonica. Nel nostro paese ad oggi non esiste nulla di tutto ciò ed anzi si fatica addirittura nell’organizzare eventi quali una finale di Coppa Italia, emblema di manifesta incapacità di un movimento sovrainteso dai soliti membri che nel tempo lo hanno portato al degrado. Occorre dunque prendere esempio dalla Germania ripetutamente sconfitta dall’orgoglio italiano nei tempi passati, per porre in essere una fiera risalita oppure sprofondare nel baratro dell’anonimato assieme agli scandali di casa nostra. Tertium non datur.

A cura di Danilo Sancamillo

Twitter: @DSancamillo

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