LA REPUBBLICA Città in gioco

Derby

(F. Bocca) – Che sia un derby di Roma un po’ così – normale, molto normale, addirittura anonimo – lo si capisce da tanti segnali. Non ha attecchito per nulla ad esempio la bufala dei buontemponi che hanno buttato lì che Papa Francesco sarebbe venuto all’Olimpico. Ai tempi belli una panzana del genere avrebbe inondato internet, si sarebbe moltiplicata in Facebook e Twitter, e infine esplosa fragorosamente nei bar della capitale: «Oh, pure il nuovo Papa viene al derby».

Adesso nessuno ha voglia di scherzare più di tanto. Basta guardare la classifica per accorgersi che non solo lo scudetto è stratosfericamente lontano, ma che anche la Champions League è ormai un traguardo quasi virtuale. E dunque al di fuori del Raccordo Anulare o al massimo del bacino del Tevere, il Derby di Roma riguarda solo le piccole beghe dei due club, che si sfottono e si punzecchiano, senza però far male a nessuno di quelli che contano. Nonostante Totti e Klose, nonostante De Rossi ed Hernanes: i big, soprattutto quelli della Roma (Totti e De Rossi), sentono molto il derby e per loro l’ansia è doppia.
Roma e Lazio sono due squadre che partite dallo stesso punto hanno fatto strade diverse per poi ritrovarsi abbastanza vicine 7 mesi dopo: la Roma ha sbagliato tutto lo sbagliabile subito, a cominciare dall’allenatore, e una volta trovatone uno nuovo, Andreazzoli, si è un po’ ritirata su ma la sostanza non è poi cambiata granché: tant’è vero che è stata presa a schiaffi a Palermo. La Lazio dell’illustre sconosciuto Petkovic (ora in ascolto di certe sirene in Germania) si è fatta un giro in alta classifica, ha respirato illusioni, e poi è scesa in picchiata: delle ultime dieci partite ne ha vinte due. Ma con l’ultima vittoria, quella col Catania, ha scavato quella piccola differenza di tre punti.
Il mite Andreazzoli in sospeso sul presente (una media punti di 1,85 contro l’1,47 di Zeman) dice che «il mio futuro è adesso, col presidente non ho parlato del mio domani » e che «il derby vale qualcosa di più dei 3 punti», tipica frase che ai tifosi piace sentire. Falliti i traguardi, almeno il derby… Petkovic qualcosa in più da dire ce l’ha: «Daremo tutto, ma proprio ntutto per vincere il derby, col Catania abbiamo vinto per allontanare un avversario diretto, così cercheremo di fare anche con la Roma. Chi è più forte? Ad agosto non eravamo neanche tra i candidati per l’Europa mentre la Roma era valutata, giustamente per via dei tanti rinforzi, come una squadra che poteva competere per il campionato. Sono orgoglioso di come sono andate le cose in questi sette, otto mesi». La Lazio lotitocentrica è andata più in là della Roma americana: lo si era capito anche nel derby dell’andata, quando i gol di Klose, Candreva e Mauri mandarono all’aria il progetto di Zeman, come lo scorso anno quando i derby vinti dalla Lazio segnarono la stagione di Luis Enrique.
Il presidente James Pallotta, quello che ha fatto venire un infarto ai tifosi parlando di piano ventennale (ma come arco temporale di impegno nel club e non come limite di tempo per arrivare ai primi successi…) è arrivato per prendere contatto con una squadra da cui sicuramente aspettava già dei risultati. Nel frattempo gli è stato fatto un corso accelerato di romanesco tra Testaccio e San Lorenzo, a forza di carbonare e pajate. Lotito invece è rimasto a rimuginare sull’intimo rodimento che la Lazio abbia nemici un po’ ovunque: la squalifica Uefa di 2 turni per i saluti romani della Nord, l’arbitraggio sballato di Istanbul che rischia di aver compromesso l’Europa League, la beffa sul filo di lana contro Demetrio Albertini nella corsa alla vicepresidenza della Federcalcio, cui teneva tantissimo. Contare o non contare, questo è il suo dilemma.
Anche se potrebbe non essere l’ultimo derby della stagione (la Roma potrebbe raggiungere la Lazio in finale di Coppa Italia) resta sempre l’appuntamento clou della città. Ci saranno 55.000 persone e chi conta non può mancare. Vista l’aria che tira sarà un derby senza politici in tribuna. Pare… Il presidente del Coni Malagò ha abolito le tessere per i parlamentari dal prossimo anno, ma intanto fin da oggi nessun D’Alema, Veltroni, Casini o Fini ha annunciato la sua presenza. Magari ci sarà Alemanno come sindaco per rubarsi quello 0,1% in più rispetto all’incombente Ignazio Marino o al pentastellato Marcello De Vito, o al giallorossissimo Alfio Marchini, nipote dell’Alvaro presidente che nel ’70 si vendette Capello, Spinosi e Landini alla Juve. Ci sarà sicuramente il tifoso della Roma Fabrizio Cicchitto: «Io l’abbonamento me lo pago e allo stadio dunque ci vado». Chapeau.
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