CORRIERE DELLA SERA Zeman a lezione di Juve

Zdenek Zeman

(R.Perrone) – Il tempo sembra non essere passato solo per Zdenek Zeman, l’ultimo giapponese del calcio, chiuso nella giungla del suo personaggio. La Juventus invece è molto cambiata rispetto a quella degli inverni (e anche delle primavere) dello scontento, quelle dei settimi posti. I nemici di Zeman nella Juventus sono tutti fuori, nelle tribune, anche quelle per ricchi e famosi,non solo nelle curve che lo insultano (che tristezza, per chi lo fa).

I calciatori, in campo, lo considerano come tutti gli altri, come tutti gli avversari che si presentano allo Juventus Stadium, piova o tiri vento. Niente di personale. Il tempo non è passato perché l’ultima volta che era venuto qui, con il Lecce (25 novembre 2006, campionato di serie B), era finita allo stesso modo: 4-1. Ma questa è la Roma, questa è una squadra che segue la strada della rifondazione, che ha ambizioni. La Juventus sì che è cambiata, anzi cambia a ogni partita (45 senza sconfitte). Una l’affronta in surplace quasi ferma sui pedali, come un ciclista anziano pronto all’ultimo sprint, una da ragazzo sulla pista da ballo, in piena tempesta ormonale da febbre del sabato sera. La Roma di Luis Enrique aveva impiegato 29 minuti a prendere 3 gol (poi diventati 4 a zero) il 22 aprile. La Roma di Zdenek Zeman migliora il primato: 3 in 19 minuti. Che dire? La partita per i giallorossi neanche comincia.

La Juventus di Conte-Carrera- Filippi non trova argini e per fermare questa squadra bisogna metterne di robusti, altrimenti è peggio del Po quando s’arrabbia. E invece l’allenatore boemo, pare non preoccuparsi di concedere libertà a Pirlo, a Marchisio, a Vidal, tutti sempre in vantaggio sugli avversari così da poter gestire il pallone in suprema libertà. Pirlo, dato un po’ troppo prematuramente per trapassato, non ha mai goduto di questi pascoli erbosi, finora. Magari è blasfemo destinare un giocatore, e quindi denudare l’ideologia, a una marcatura (quasi) fissa, ma almeno predisporre qualche contromisura, forse sarebbe utile. Dall’altra parte, invece, la Juve tiene larghi Caceres e De Ceglie. Soprattutto il primo, almeno nel primo tempo (cioè quando si decide la partita), è lo specchietto per le allodole che sposta la Roma e lascia varchi impressionanti a sinistra.

Da qui nasce la punizione del vantaggio, propiziata da un lancio di Barzagli (immenso) per Marchisio sgambettato da Taddei che si salva dall’espulsione (l’arbitro giudica la palla lontana). Pirlo indovina il varco tra Burdisso e Taddei, Stekelenburg non è impeccabile. E a proposito di varchi, da qui in poi è valanga bianconera. Arriva il rigore di Vidal per un fallo di mano di Castan su tiro di Matri. La capacità di Conte è quella di rigenerare gli attaccanti al momento giusto: Matri segna il 3-0 (lob a scavalcare la difesa, 9˚ giocatore a segno). Amen. La Juventus prende due traverse e un palo, con Marchisio, Vucinic e De Ceglie, qualcosa ci mette anche Stekelenburg per evitare la goleada (su Vucinic e Matri). Nel secondo tempo Madama gigioneggia, s’annoia. Destro, da solo, in una manciata di minuti, fa più di tutti i suoi compagni conquistandosi il rigore poi trasformato da Osvaldo. La Juve si scuote, allora, e va a segnare il 4-1 con Giovinco, lanciato da uno scatto di Barzagli che annichilisce Taddei. È l’immagine simbolo della diversità in campo.

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