Senza radici la nuova Roma si aggrappa a Dzeko

(F. BOCCA) – Una lezione di teoria, il 4/2/3/1 sulla  lavagna, video e persino una spolverata del calcio di Andreazzoli – oggi guida del Genoa – che a Roma conoscono benissimo e che proprio qui ha cominciato il suo percorso di allenatore di Serie A. Non c’è molto di nuovo nella prima notte della nuova Roma all’Olimpico, quindi i riflettori sono tutti per Paulo Fonseca, il brillante portoghese cui il club ha affidato la rifondazione della squadra dopo averne potato le radici (Manolas, De Rossi, El Shaarawy) e messo tutto quanto – il nuovo e il vecchio – in un frullatore che ha versato fuori un milkshake ancora non ben identificato. Ma che al momento vale più o meno i frullati di Di Francesco e Ranieri. Dunque uso molto paraimonioso, praticamente solo l’indispensabile (il portiere), dei nuovi (Pau Lopez, Diawara, Veretout, Mancini, Zappacosta, Spinazzola) e squadra secondo i vecchi canoni per non andare incontro a brutte sorprese. Una rivoluzione lenta e per ora molto mascherata.

La Roma non ha ancora sostituito Manolas andato a rinforzare un Napoli da scudetto e per adesso temporeggia un po’, non completamente convinta di investire cifre spropositate su Rugani. Che praticamente le verrebbe a costare quasi di più di quanto abbia guadagnato dalla cessione di Manolas. “È certo – ha detto Fonsecache un difensore centrale mi sarebbe piaciuto averlo da subito, ma ho piena fiducia nei giocatori che ho”. Al di là di tutta la diplomazia dell’allenatore portoghese il buco c’è e preoccupa non poco. La nuova Roma si attacca al vecchio DZeko della cui partenza si era certi e sicuri alla fine della deludente passata stagione. Al pronti via DZeko  è ancora qui convinto soprattutto a forza di milioni che hanno scacciato via tutta la voglia di Inter che aveva. La Roma ha bisogno di ben più degli scarsi 9 gol dell’ultima stagione, altrimenti finirà anche col rimpiangere il fatto di averlo convinto a restare con un contratto stramilionario fino a quando avrà 36 anni. Non c’è più De Rossi in campo, non c’è più Totti in società. È anche questo un vuoto che non puó non sentirsi. È la svolta, la deromanizzazione che il club cercava da anni.

Fonte: La Repubblica

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