La (non) scelta a cui siamo chiamati

Daniele De Rossi

Il solco è tracciato e con esso la linea di demarcazione che divide definitivamente l’ambiente in due distinti insiemi: la Roma dei romanisti e quella di coloro che i romanisti li hanno messi alla porta. Non c’è via di mezzo, zona grigia o possibilità di compromesso: stare su una sponda o sull’altra è solo una questione di scelte.

Né c’è possibilità di nascondersi dietro stucchevoli frasi fatte: “Pensiamo alla Roma”, “Forza Roma e basta” e così via. Perché un club non è realtà astratta dai suoi protagonisti, ma l’applicazione di una filosofia, valoriale, gestionale e tecnica che si traduce in risultati sportivi a seconda della strada intrapresa. E quello imboccato dal duo Baldini-Pallotta è un percorso nel quale il romanismo viene visto come un ostacolo. A che cosa un giorno forse ce lo spiegheranno, quando la pavidità lascerà spazio al coraggio mostrato da De Rossi (prima) e Totti (poi), e si deciderà di parlare pane al pane e vino al vino, senza nascondersi dietro comunicati anonimi, lettere patetiche, auto-interviste e la malcelata propaganda portata avanti da qualche speaker o giornalista locale.

Un tam tam che, a suo modo, qualche risultato lo ha prodotto; da anni, infatti, si parla di un tottismo in contrapposizione all’interesse per la Roma che qualche tifoso da social, anche ora, sembra aver fatto proprio. Sempliciotti nella migliore delle ipotesi, veri e propri troll nella peggiore. E non esiste libertà di pensiero o di opinione di fronte alla severità dei fatti: da una parte un campione del mondo e d’Italia, una Scarpa d’oro, una leggenda del calcio capace di vincere un terzo dei trofei della storia della Roma (5 su 15), dall’altra una gestione fallimentare, artefice, – tra errori, inettitudini e bugie – di alcune delle pagine più vergognose dell’ultimo 20ennio. A chi è davvero romanista dovrebbe bastare questo per scegliere, senza troppi patemi.

E ciò non significa smettere di tifare o augurarsi (come avvenuto sotto altre presidenze) che le cose vadano male pur di portare acqua al proprio mulino, ma rendersi conto del processo di snaturamento avviato nelle ultime settimane. Ma voi pensate davvero che una Roma senza Totti sia migliore? Sulla base di cosa? In quale realtà calcistica l’allontanamento di persone che conoscono il club e menadito ha prodotto risultati? Quali valori di competenza sportiva la Roma baldino-americana può proporre oggi che vi facciano dormire sonni tranquilli?

E non è un problema di adulazione del personaggio. Totti avrà anche agito per suo interesse, per rivalsa personale, per quello che volete ma resta comunque qualitativamente superiore alla gran parte dei personaggi che oggi popolano Trigoria, se non per il legame con la società almeno per conoscenza della materia.

Sono elementi su cui saremo chiamati a riflettere nei prossimi mesi. Mesi di guerra, diciamolo in modo chiaro, nei quali l’ombra di Totti, di un suo possibile ritorno – magari coinvolto in una nuova proprietà – sarà ancora più “ingombrante” di quanto lui stesso non fosse sino a ieri nella valutazione di qualche ottuso dirigente. Fonseca dovrà essere bravo a tenere la barra dritta, a isolare la squadra da un lungo, aspro, scontro a distanza. Siamo solo all’inizio, mettiamocelo in testa.   

 

Luca La Mantia 

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