Il Messaggero Il nemico amico

(M. Ferretti) Il pesce Lucio ed il capricorno Maurizio hanno in comune la sigla, FI, sulla targa della propria auto, oltre all’anno di nascita, 1959. E pure se uno va in panchina in giacca e cravatta e l’altro in tuta (sempre e comunque), Spalletti & Sarri sono molto più simili di quanto la poliedrica Toscanità che gli scorre nel sangue possa farli sembrare diversi. È vero che dalle loro parti se sei nato a Certaldo sei più senese che fiorentino; così come se sei cresciuto a Figline Valdarno è facile che ti becchi l’etichetta di (mezzo) aretino, ma i due tecnici non solo legati solo da questioni geografiche. Anche se Lucio non si è mai preoccupato di modellare la propria squadra in base agli uomini che aveva in rosa, passando con gli anni dal 4-3-3 all’attuale 3-4-2-1 sfruttando l’esperienza maturata con il 4-2-3-1, mentre Sarri non si è mai affidato alla difesa a tre e davanti quando non ha presentato tre attaccanti ne ha proposti due più un trequartista. Tra i due, Spalletti – per una questione d’esperienza – è nettamente più a suo agio rispetto a Maurizio davanti a cronisti e telecamere. E più spesso del collega/amico nato a Napoli sfrutta pubblicamente la lingua della sua terra per rispondere alla domande meno comode, spesso teatralizzando il tutto con il supporto del pittoresco linguaggio del corpo. Sarri, sotto questo aspetto, è più diretto, meno logorroico, meno calcolatore, meno politico. La tuta, insomma, non la toglie neppure in sala stampa. Simili, non uguali. Gemelli, ma diversi. E resta complicato stabilire se qualcuno ha copiato ed eventualmente chi ha copiato chi. Di certo, quando Lucio già allenava tra i professionisti, Maurizio era ancora a Stia, 1990, in seconda categoria; questo, però, a gioco lungo può anche significare poco, perché Sarri al grande calcio ci è comunque arrivato e Spalletti, con curiosità e umiltà, è andato addirittura a studiarlo.

IL FATAL AGRITURISMO I due si sono conosciuti bene nell’estate del 2014, quando Lucio avevano terminato l’esperienza allo Zenit e Maurizio aveva appena vinto il campionato di serie B con l’Empoli, snodo vitale delle loro avventure pallonare. Spalletti, rapito culturalmente dal lavoro del collega, lo invitò nel suo agriturismo di Montaione, in provincia di Firenze, dove ancora oggi guida il trattore e raccoglie le olive: pranzo con le rispettive mogli, piatti tipici e tanto tanto pallone. Si racconta che, proprio in quella circostanza, l’attuale allenatore della Roma diede un consiglio spassionato al freschissimo debuttante nella massima serie. «Non esiste differenza di categoria: se sai allenare in B sai farlo anche in A», in sintesi. Automatico il passo successivo, cioè il disoccupato Lucio seduto, nelle vesti di studente, sulla panchina del Castellani per seguire dal vivo gli allenamenti del professor Maurizio, annotando tutto, anche il minimo particolare. Il loro calcio ha parecchi punti in comune e anche tante differenze. Lucio, ad esempio, lavora per giorni e giorni in funzione dell’avversario di turno, senza preoccuparsi di proporre il proprio calcio a seconda dell’impegno; Sarri, invece, non cambia mai, è sempre uguale a se stesso con addestramenti ripetuti fino alla nausea pur di arrivare al traguardo. Contro qualsiasi tipo di avversario. Schemi, schemi e schemi. Un retaggio della sua passione per il basket e degli studi sulla pallacanestro applicata al calcio. Monotono? Ortodosso, se mai. Oppure oltranzista. Un atteggiamento che, però, rischia di diventare un limite, perché se sei abituato a giocare un solo tipo di calcio puoi ritrovarti nella situazione di non saper dove mettere le mani in caso di necessità. Come accaduto, ad esempio, nella gara d’andata tra Napoli e Roma, in occasione della quale Spalletti, due anni abbondanti dopo il pranzo di Montaione, ha dato un’autentica lezione di tattica a Maurizio.

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