Il Messaggero La pessima domenica da tre punti del vecchio Edin

(M. Ferretti) Non conta aver vinto la seconda partita di fila in trasferta; non conta aver portato a casa sei punti segnando due reti e senza beccare gol; non conta restare in scia della Juventus nonostante un calendario d’inizio 2017 nettamente più complicato che per le avversarie dirette; non conta aver confezionato il quattordicesimo successo in 20 partite di campionato, il sesto nelle ultime sette partite. No, tutto questo non conta. L’unica cosa che conta, visto che dalle 15,20 di ieri non si parla d’altro, è la pippaggine di Dzeko. Il bosniaco, chiariamolo subito, è stato il peggiore della squadra di Luciano Spalletti. Nessun dubbio, in merito. Una prestazione negativa come non si vedeva da tempo, e non soltanto per il rigore (che El Shaarawy avrebbe voluto tirare) sbagliato in modo fantozziano con il pallone regalato al bambino friulano in curva. Edin dal cuore d’oro, verrebbe da dire. Quanto si legge sui social dal fischio finale di Damato (ma anche da prima, a dire il vero…) sul suo conto è un campionario di battute divertenti e insulti pesanti. E meno male che la Roma ha vinto… Figuriamoci cosa sarebbe accaduto, e scritto, se i giallorossi non avessero centrato il bersaglio grosso: Dzeko probabilmente non avrebbe neppure avuto la possibilità di rientrare nella Capitale. Le critiche ci stanno, e mai come stavolta Edin merita quelle negative; ma da lì a (ri)mettere tutto in discussione sul conto del capitano della Bosnia ce ne passa, ed appare un po’ eccessivo.

ERRORI E ORRORI – Perché i 13 gol che sono stati già refertati in campionato non si possono, anzi non si devono dimenticare. Certo, Dzeko non può cullarsi sugli allori di quelle reti, deve dare ancora tanto alla Roma e ai suoi tifosi; deve essere sempre (più) cattivo, come implora il suo allenatore, ma – al di là degli errori (orrori…) di Udine – resta un uomo fondamentale nell’economia della seconda in classifica. Solo che sul suo rendimento non ci sono mai mezze misure, in un senso o nell’altro: se segna, è un fenomeno; se non segna, un emerito pippone da cacciare prima possibile a calci nel sedere. Il numero 9 della Roma non è, non lo è mai stato e mai sarà il miglior centravanti del mondo; è semplicemente un professionista che conosce il mestiere, e che – come tutti – può incappare in una giornata pessima. Come accaduto al Friuli. Tutto il resto sono chiacchiere, spesso pretestuose e molto spesso a tassametro. Perché nonostante Dzeko ai minimi termini la Roma ha vinto. E, se ci pensate bene, questo è addirittura un bel segnale.

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