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Nainggolan. La ricerca della felicità: “Sono rimasto per vedere cos’è lo scudetto a Roma”

Nainggolan

(M.Pinci) Radja Nainggolan, ma cosa le ha fatto la Juventus? Prima la promessa «Mai alla Juve». Poi la minaccia a Pjanic di non parlargli più se fosse andato a Torino.
«Ma no, gli voglio bene lo stesso (ride). È un amico, ha fatto ciò che credeva meglio per sé, lo sento quasi ogni giorno, a dire il vero. Quella frase l’ho detta perché sapevo cosa avremmo perso senza di lui e quanto potesse portare alla Juve. Ma se quest’anno va diversamente mi divertirei a prenderlo in giro».

In estate anche lei poteva partire: Conte la cercò insistentemente, no? 
«Sì, sono stato cercato. Ma uno deve pensare a come vuole vivere: per me essere felice è importante. Qui mi vogliono bene, avevo tante cose in testa, le ho messe insieme e ho scelto di restare. Io credo che qui si possa davvero vincere: e quando succederà voglio esserci per vedere che sensazioni dà».

Spesso le sensazioni le incidi sulla pelle: quanti tatuaggi hai? 
«Non ne ho idea, sono tantissimi. Il più importante? Quello sulla schiena, dedicato a mia madre. Un mese dopo la sua morte mi sono tatuato la sua data di nascita, quella in cui è scomparsa, una croce e due mani in preghiera. Per ricordarla».

Con il calcio invece com’è iniziata? 
«Mio nonno era dirigente di una squadra locale in Belgio, quando avevo 4 anni mi ha portato al campo. Da quel momento non sono più riuscito a smettere, ho continuato a giocare in strada, con gli amici. L’ unico giocattolo era il pallone. E i videogiochi: mi sono sempre piaciuti».

Playstation o i social? 
«Oggi la play. I social li uso così, ma alla play a casa gioco per ore. E mai al calcio».

Da ragazzo ha mai vissuto sulla pelle il razzismo? 
«Mai. Però ho giocato con compagni che ne hanno subiti, sono cresciuto per strada con tanti stranieri e ho visto che vuol dire. Anche nello spogliatoio ne parliamo spesso. C’è Rüdiger, con lui posso anche scherzarci, non se la prende e sa che lo faccio per farlo ridere. Ma serve anche a capire come reagisce un compagno se capita un episodio spiacevole. A capire come gestirlo».

A proposito, come avete gestito l’attesa del match con la Juventus? 
«Finora abbiamo pensato solo a Lazio e Milan. Le abbiamo battute e ora proviamo a fare il colpaccio. Anche perché è l’unico modo per sapere quale sia la nostra dimensione».

Due anni fa il protagonista fu l’arbitro Rocchi. 
«Gli arbitri prendono delle decisioni e finisce lì, gli episodi su cui recriminare sono i pari con le piccole».

Quindi le polemiche sono figlie solo dell’ambiente: quanto pesa per voi atleti? 
«Parlerei di delusione, anziché parlare sempre di questo ambiente. I tifosi aspettano da tanto tempo di vincere».

Ecco: secondo lei perché il titolo manca da 17 anni? 
«Non lo so. Quando le cose vanno bene ci è successo di pensar di essere troppo forti o che la vittoria arrivasse da sola».

E calava la tensione? 
«Esatto. Abbiamo battuto tutte le squadre più forti, i punti li abbiamo persi con le piccole. Quando pensi di essere forte, di aver già vinto. E invece…».

Peggio il pari di Cagliari o quello di Empoli? 
«Mi rode più per Cagliari: a Empoli ci è mancato solo il gol. A Cagliari avevamo la partita in mano e andava gestita meglio».

In estate il ct del Belgio Wilmots disse pubblicamente che lei ha bisogno di una camera con il balcone perché fuma. Che effetto le fece? 
«Fastidio. Sarebbe stato bello se l’avesse tenuta tra me e lui quella storia anziché portarla fuori. Ma non mi sono mai nascosto per ciò che faccio nella vita».

Come fare tardi la sera… 
«Siamo persone normali, abbiamo responsabilità ma fare cose normali serve. Poi se le cose vanno bene non ne parla nessuno, quando invece vanno male sono il primo io a capire quello che è il caso di non fare».

Il rapporto con la nazionale è ancora tumultuoso. 
«Per me è sempre un onore andare in nazionale e punto a tornarci, anche se in passato sono successe cose non piacevoli. Abbiamo tanto talento, ma l’Italia che ne ha meno ha altro, ha carattere vincente. Il talento non basta sempre: serve altro».

Lei è stato tra i primi a mettere i lacci arcobaleno. Ma l’omosessualità resta un tabù nel calcio. 
«Ognuno sceglie quello che vuole nella vita, chi punta l’indice non so perché lo faccia, forse la vede diversamente. Mia sorella gioca a calcio e sta con una donna, e io sono contento perché lei è felice».

fonte: La Repubblica

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