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I cervelli di Juve e Roma

Spalletti

(G.B.Olivero) – Abituati a vederli fermi in piedi davanti alle rispettive panchine, rischiamo di perdere di vista la più grande qualità di Massimiliano Allegri e Luciano Spalletti: sono allenatori in movimento, sempre in cammino e alla ricerca (non ansiosa) di soluzioni nuove. Non c’è vittoria o sconfitta che ne limiti gli orizzonti o ne modifichi l’approccio: sono scrupolosi ma non maniacali nella preparazione (Conte, ad esempio, è molto più attento ai particolari e più rigoroso), si affidano molto (per qualcuno, anche troppo) alla capacità di improvvisazione dei propri giocatori, considerano il calcio un’arte e la trattano in quanto tale. Poi, naturalmente, c’è arte e arte. Allegri è sempre stato un allenatore classico: il risultato prima di tutto, anche se è stato bravo a non estremizzare. Per lui non c’è un sistema migliore di altri, non c’è uno schema più vincente di altri: è giusto tutto quello che ti fa conquistare i tre punti e i trofei. Spalletti ha una visione più naif: gli piace il bello, è un esteta e ha sempre trasmesso quest’idea alle sue squadre. Adesso, però, Max e Luciano arrivano allo scontro diretto tra Juve e Roma che inizia sabato e finirà probabilmente a maggio incrociando le rispettive caratteristiche. Allegri non vuole cambiare l’anima guerriera della Juve, ma le vorrebbe cucire addosso un vestito più elegante: un casual curato che faccia la sua figura nei pomeriggi al Bentegodi e nelle notti al Camp Nou. Spalletti, al contrario, vuole una Roma capace di sporcarsi e di vincere anche giocando male: un passo avanti fondamentale in una competizione lunga e difficile come il campionato.

SOSTANZA E FANTASIA – Il trequartista è un po’ lo specchio della trasformazione. Allegrilo aveva tanto desiderato proprio per aumentare la qualità del gioco bianconero. Marotta e Paratici gli hanno comprato Pjanic e lui gli ha fatto fare un giro guidato negli altri ruoli del centrocampo, un po’ perché nel suo calcio tutti devono saper fare tutto e un po’ perché la qualità non va confinata solo a trenta metri dalla porta. Però lo sviluppo futuro della Juve potrebbe essere quello: il 4­-3­-1­-2 o il 3-­4-­1-­2. Spalletti aveva proprio Pjanic ed è rimasto senza. Ma nel suo processo di trasformazione della Roma il trequartista ideale è Nainggolan, mediano di nascita e poi incursore di successo, non rifinitore ma sconfinato nell’interpretazione del ruolo. Ricordate chi fu il trequartista di Allegri nella cavalcata che portò la Juve alla finale di Berlino nel 2015? Arturo Vidal.D’altronde nella prima Roma di Spalletti in quelle zolle si divertiva Perrotta: gente di sostanza, insomma, dove dovrebbe dominare la fantasia.

IL 9 E I CAMBI – Anche il centravanti è un punto di contatto significativo tra i due allenatori della supersfida. Spalletti volle fortemente Dzeko, ma i gol non arrivarono. Quest’anno gli ha chiesto di muoversi di più con i compagni, di far salire la squadra, di partecipare al gioco: Edin lo fa e, nel frattempo, è anche capocannoniere. Lo scettro l’ha sottratto, magari temporaneamente, a Higuain, per il quale la Juve ha speso 90 milioni. Allegri è stato molto criticato per il modo in cui ha utilizzato l’argentino, un po’ in panchina e un po’ vice Dybala quando Paulo si è infortunato. Sabato sera il peso dei due centravanti sulla partita sarà probabilmente determinante. Così come la lettura della partita da parte dei due tecnici. Allegri è da sempre convinto dell’importanza dei cambi. Cuadrado spesso va in panchina anche perché è uno dei giocatori più bravi a «spaccare» una gara nel secondo tempo. Nel derby Pjanic e Dybala sono stati tenuti scientificamente in panchina fino agli ultimi minuti perché ­ altro mantra di Allegri ­ quello che non succede in 80’ può accadere in 10’. Anche Spalletti ha sviluppato una buona reattività di fronte allo sviluppo degli incontri. Luciano ha una panchina meno ricca, ma ha l’abilità di spostare i suoi titolari per ridisegnare in un attimo la Roma. Una cosa che Allegri fa da tempo con la Juve, ormai abituata a passare dalla difesa a tre a quella a quattro senza alcun impaccio e nessuna sostituzione.

FORTI NELLO SPOGLIATOIO – In panchina, oltre alle soluzioni per vincere la partita, si trovano anche i musi lunghi di chi vorrebbe giocare di più. Allegri di solito è un muro di gomma e non perde di vista il suo disegno generale che prevede, ad esempio, tempi medio­lunghi per l’inserimento dei giovani (vedi Dybala e Rugani) e dimostrazioni di fiducia improvvise (Mandzukic in campo a San Siro contro l’Inter in un momento di scarsa forma, con Higuain relegato in panchina). Spalletti, invece, si è giocato il futuronella querelle con Totti: ha vinto lui, hanno vinto tutti. E dopo quella vicenda il tecnico è diventato più forte nello spogliatoio. Alla luce dei punti di contatto e degli incroci, e in attesa del confronto dello Stadium, viene da chiedersi cosa cambierebbe se Allegri fosse il tecnico della Roma e Spalletti quello della Juve. Probabilmente poco: magari i bianconeri sarebbero leggermente più veloci in avanti e i giallorossi un po’ più compatti senza palla. Max e Luciano, d’altronde, rispettano molto le caratteristiche dei giocatori: gestiscono, non stravolgono; studiano, non inventano. E continuano il loro cammino: dove li porterà, lo scopriremo col tempo.

Fonte: La Gazzetta dello Sport

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