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LA REPUBBLICA Quella incompiuta chiamata Roma

Nainggolan e Dzeko
Nainggolan e Dzeko

(M. Pinci) – Manca una settimana a settembre, ma la parola d’ordine è già “riscatto”. Roma, anno 6 d.c. (dopo la cessione del club), ma sembra ancora l’anno zero. Lo 0-3 col Porto, evocativo di tante disfatte del passato, ha detto che la Roma è quella di sempre: fragile, isterica, vittima di sé stessa. Lo 0-3 è diventato la formula magica per la fine delle ambizioni. Finì così con lo Shakhtar in Championsnel 2011 e con la Fiorentina nel 2015 in Europa League, con il Napoli in coppa Italia nel 2014 e con la Juve nella sfida scudetto dello stesso anno.

Nemmeno a Trigoria hanno potuto far finta di nulla. Iscriversi alla fase a gironi di Champions League valeva, nelle idee della società, 35 milioni. Dissolti. Ciò nonostante, in un vertice nel pomeriggio, Sabatini e Baldissoni hanno promesso a Spalletti che non ci saranno dismissioni eclatanti. Avrebbero in mano un accordo di massima con l’Arsenal per cedere Manolas: i Gunners sono pronti a investire 30-32 milioni (martedì c’era un osservatore all’Olimpico), l’Olympiacos si accontenterebbe di “liquidare” la propria percentuale per 8-10 milioni. Da ieri l’affare è congelato, il bilancio si chiude il 30 giugno e per vendere c’è tempo, gennaio o giugno. «Non se ne va nessuno», è la linea. E pazienza se si dovrà rinunciare a intervenire dove serve. L’unico che può partire è Paredes, se servirà a comprare un centrocampista più forte, uno come Borja Valero. L’unico “acquisto” per ora Umberto Gandini: arriva dal Milan, sarà il nuovo amministratore delegato. Ultima tessera di un domino che in pochi mesi ha scompaginato l’assetto societario: allontanato Zanzi, partite e rientrate le dimissioni del ds Sabatini(magari, come ogni anno, le ripresenterà a settembre), incassato il rientro come consulente dell’ex dgFranco Baldini, ispiratore della scelta del nuovo a.d. (è stato con lui a Boston da Pallotta, durante la tournée Usa dei giallorossi).

I problemi di Spalletti sono altri: gestire le conseguenze di una disfatta, vissuta come tale da un ambiente già depresso. Come pure la squadra. L’allenatore l’ha messa al muro: le ha detto che serve ritrovare ciò che si è perso. Che la sconfitta col Porto non si cancella, ma sarà un avversario contro cui battersi. Che la squadra se l’è cercata, ma che pure in inferiorità ha tirato più degli avversari. Che deve essere responsabile del nome che porta. Gli altri, a testa bassa. Solo Fazio l’ha alzata. L’Europa League è un’opportunità, ha detto ai compagni: sarà che l’ha vinta due volte. A lui, però, nessuno ha spiegato perché, dopo un’estate passata a comprare difensori, al primo test serio in difesa abbia giocato un centrocampista.

 

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