AS ROMA Sabatini: “Percepisco uno scollegamento tra me e Pallotta, questo sarà il mio ultimo anno con i giallorossi. Totti? Gli ho detto di smettere”

Sabatini
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Il direttore sportivo della Roma Walter Sabatini ha rilasciato una lunga intervista in cui ha parlato di alcuni aspetti della sua vita, del suo lavoro con i giallorossi, fino al rapporto di amore/odio con Pallotta. Queste le sue parole:

Ha avuto sensi di colpa per l’esonero di Garcia? 

«No, ho cercato di proteggerlo. Molti mi accusano di aver perso tempo. Forse, ma ricordo che in un momento di grande successo per lui non ha voluto tradire la Roma. E poteva farlo».

A un certo punto a Macondo arrivano gli americani. Belle case, ferrovia, però si perde la poesia: è capitato anche alla Roma? 

«Io non ho perso la poesia, ma il mio modo di pensare al calcio è diverso dal loro. Per me il pallone è una sfera magica, l’Aleph di Borges, ci vedo l’universo intero, mentre altri notano solo la sfera di plastica. Vede, io una volta ho giocato con Sivori. Ero in vacanza a Fregene e trovai uno che organizzava una partita benefica con vecchie glorie, attori e cantanti. Accettai con noia, ma poi spuntò Omar. Aveva poco più di 40 anni. La sua non era tecnica, era magia. Lo vedevo con le mani sui fianchi, pronto a insultare chi non gli avesse consegnato subito la palla. Un genio. Ecco, questo è il mio calcio».

Ma lei, uomo di sinistra, che ci fa con una proprietà Usa? È l’unico dirigente rimasto del nuovo corso.

«E un po’ me ne vergogno. Io ho il cervello di sinistra e il corpo di destra, sempre in conflitto. Tante cose le ho fatte per il corpo. Loro sono investitori, poi però tocca a noi. Ma si deve essere di sinistra sempre, nel calcio come nella vita».

Eppure si dice che la maggior parte dei calciatori è di destra.

«Non sono di destra, sono qualunquisti. Il calcio attrae vanità, perché intorno al calcio ci sono nani e ballerine. Diventa una patologia, ti fa pensare che sia importante solo un calcio d’angolo».

Mr. Brown promette concessioni alla fine della pioggia, peccato passino 5 anni. Gli stessi che voi avete utilizzato senza vincere niente.

«Non è andata proprio così. Qui è mancato un trofeo, però bisogna riconoscere che la Roma è società patrimonializzata ed è al terzo anno di Champions. È stato fatto un lavoro virtuoso che viene riconosciuto in Italia e all’estero, ma non a Roma per rabbia e frustrazione».

Però lei con Pallotta che c’entra? Non resta certo per lo stipendio.

«Anzi, altrove potrei guadagnare di più. Il primo febbraio con una mail ho chiesto al presidente di lasciarmi libero perché ho percepito – e lo percepisco tuttora – uno scollegamento tra me e lui… Mi scusi, non posso andare avanti su questo argomento. Non posso rompere oggi, abbiamo traguardi da raggiungere. Lo farò quando sarò a posto con la mia coscienza. Comunque io non ho mai parlato di dimissioni. In un primo momento lui aveva accettato, poi ha cambiato idea. Per un certo momento mi sono sentito un prigioniero, negli ultimi tempi però ho trovato tante persone che mi hanno aperto gli occhi nell’individuare i problemi, le potenzialità. Mi hanno dato speranza. Una cosa però è certa: questo è il mio ultimo anno alla Roma e io continuerò a fare il d.s. alla mia maniera. Non sono commissariabile».

Lei ha reso ricchi per generazioni intermediari e procuratori rozzi e amorali: non la imbarazza?

«Alcuni, non tutti, ma non mi imbarazza. Sono strumenti di lavoro. Trent’anni fa, quando c’era solo Caliendo, io dicevo a un mio presidente: “Non puoi andare contro la storia”. I procuratori sono un male necessario».

Sa bene che su di lei e alcuni agenti girano voci di mazzette nelle transazioni.

«Lo so e mi inquieta, ma senta, non permetto a nessuno di offrirmi neanche un caffè. So che il mio mestiere comporta il rischio di accuse cariche di frustrazioni, ma non mi interessa. La corruzione è del mondo, a volte è stata benedetta perché ha implementato nella storia la costruzione degli Stati. Io non sono una mammoletta, ma considero normale l’onestà».

Al netto dei reati, si dice che lei abbia creato una rete di d.s. amici in stile moggiano.

«Nel calcio si va a mode. Ora tanti pensano che io sia bravo – e forse lo sono – e così adesso c’è chi mi chiede dei consigli, ma non ho mai raccomandato nessuno, neppure mio fratello. La rete che spesso ipotizzano è virtuale, Calciopoli invece è stata una cosa vergognosa, ha spostato scudetti, ma ci sono sentenze che ormai la descrivono. Oggi il calcio è malato di altre cose, le scommesse prima di tutte».

Dei circa 70 giocatori che ha preso in questi 5 anni, quanti erano da Roma? Il 50%?

«Forse anche meno, ma in quel momento c’era una logica. Mi accusano di non prendere italiani, ma dove sono quelli bravi a cifre abbordabili? Occorrerebbe cambiare il sistema, che invece è stantio. A Roma la gente i calciatori a volte li sbrana».

Lei però, da esteta del calcio, è diventato l’uomo delle plusvalenze: le hanno rubato l’anima?

«No, ma mi hanno complicato la vita. Comunque il talento fine a se stesso diventa un vizio, io dovevo far coincidere le cose e in parte ci sono riuscito».

È vero che è lei che impone i giocatori ai tecnici?

«Io li propongo, ma li condivido con l’allenatore. E poi con Spalletti c’è sintonia. Siamo entrambi due disturbati psichici dalla vita».

Se non fosse stato costretto a cedere i migliori, la Roma avrebbe già vinto qualcosa?

«Questo non glielo dirò mai».

Macondo alla fine muore anche per mancata evoluzione. È un po’ quello che c’è nel rapporto tra la Roma e Totti?

«A Francesco ho sempre parlato con affetto. Gli avevo detto: “Smetti”. Lo penso ancora oggi, però ora che farà il contratto credo abbia una grande occasione: avrà un anno cuscinetto per lavorare su se stesso».

È parso però che Spalletti avesse un risentimento antico verso Totti.

«Certo che in lui c’era una quota residuale di uno stato d’animo che era maturato in passato, maSpalletti voleva imporre un modo di essere e ci è riuscito. Ora si sono risintonizzati. Certo, la sintonia sarà stentata, ma occorrerà l’intelligenza di entrambi. Luciano ha avallato l’ok al contratto, ma Francesco dovrà essere generoso con i compagni. Io ipotizzo un Totti nuovo, pur facendo ancora qualche altra prodezza. Perché una cosa è sicura: pur essendo un campione Totti non è stato nell’Olimpo, ma le sue giocate non si vedranno più su un campo di calcio. Non ha vinto Palloni d’oro o Champions, però i suoi colpi saranno chiusi in un libro e non saranno più riproposti da nessuno».

Fonte: Gazzetta dello Sport

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