GAZZETTA DELLO SPORT Adem Ljajic: “Ora torno in nazionale e rimonto la Juventus”

Ljajic
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Non è più il «bambino» del 2011, nomignolo che gli affibbiarono i compagni di nazionale. E neanche più il «diamante grezzo» che Garcia aspettava o il bad boy della rissa con Delio Rossi. No, Adem Ljajic è molto di più, tanto talento e poca sregolatezza, un giocatore in grado di incidere, ribaltare le gerarchie ed essere decisivo. Se poi sia il suo momento più bello di sempre o no non lo sa neanche lui. Di certo, con Nainggolan è il miglior giocatore della Roma di questo inizio di stagione.

Si chiude il 2014: è stato un po’ l’anno delle sue rivincite.

«Sì, soprattutto negli ultimi mesi: il ritorno in Champions League, la lotta per lo scudetto. Ho fatto 9 gol e 7­8 assist. Forse potevo fare di più, ma se ho continuità posso fare la differenza. La fiducia di Garcia? È stata importante. Quando uno non sta bene, in campo o di testa, lui ti aiuta, ti dice sempre le cose in faccia, dove cambiare. Una cosa giusta. Anche Mihajlovic è molto diretto e schietto, in Serbia siamo abituati così».

Cosa ha in più ora Ljajic rispetto a quello del Partizan, della prova al Manchester o di Firenze?

«Prima non mi allenavo al massimo, ero una testa calda e se non giocavo facevo casino. Ero un ragazzo un po’ matto. Ora so che se non dai sempre il 100% anche in allenamento, è difficile giocare. Sono cambiato in questo e i risultati si vedono».

Cosa si prova ad esser allenato da una leggenda come Alex Ferguson?

«Avevo 17 anni e non parlavo inglese, proprio come ora. Spese parole bellissime su di me, dette da lui mi resteranno dentro per sempre».

Mihajlovic una volta disse che lei calcia le punizioni da Dio. Ma chi le tira meglio tra di voi?

«Lui, senza dubbio. A fine allenamento ci fermavamo insieme: io lo vedevo tirare e non credevo che calciasse ancora così. A Roma ci sono Totti e Pjanic, che le tira alla grande. Vorrà dire che se qualche volta mi lasceranno un’occasione, proverò a metterla dentro anche io». 

Ad inizio anno era il quarto esterno nelle gerarchie di Garcia, oggi è titolare. Cosa è cambiato?

«Ho fatto bene in ritiro, ma quando è iniziato il campionato ero in un momento no, non so neanche perché. Poi ho trovato serenità. Il mio ruolo? A Firenze ho fatto anche la punta centrale, ma se dovessi scegliere mi schiererei come mezzapunta dietro l’attaccante. Ma non tutti gli allenatori giocano così. Va bene anche come esterno». 

Questo è il suo miglior momento?

«Stavo molto bene anche negli ultimi sei mesi a Firenze, con Montella. Sono periodi simili: lì feci 10 gol in 6 mesi, ora sono a 6. Spero di ripetermi».

Lei adora la playstation. Potesse scegliere un tridente della ex Jugoslavia chi sceglierebbe?

«Ljajic e Jovetic, senza di lui non gioco mai. E poi Markovic del Liverpool. Ma c’è l’imbarazzo della scelta: Vucinic, Tosic, Djordjevic, Dzeko, Mandžukic. Sarebbe una squadra troppo bella, in grado di diventare campione del mondo. Di certo tra le favorite assolute».

Quando tornerà in nazionale?

«Dopo Roma-­Milan sono stato a cena con Curcic, il nuovo c.t.. Ci siamo chiariti su tante cose. Sono pronto, aspetto la chiamata. Amo la Serbia, non vedo l’ora di tornare a giocare in nazionale».

Le ha fatto più male l’esclusione di Mihajlovic per la storia dell’inno non cantato o quella di Advocaat?

«Casi diversi, ma non ci torno su. E sulle voci di senatori che non mi volevano posso dire che non abbiamo litigato, ma in nazionale tante volte non ho avuto l’opportunità di giocare. La Serbia non viene da grandi risultati, nel caso sarei stato zitto. Se ti danno delle responsabilità puoi anche provare a cambiare qualcosa…». 

Lei è di Novi Pazar, dove la comunità è stata oggetto di stermini da parte delle tigri di Arkan, ex capo-ultrà della Stella Rossa. È per questo che il derby Partizan-Stella Rossa aveva un sapore speciale?

«No, il derby a Belgrado è speciale a prescindere da questioni politiche, una rivalità che attraversa tutto il Paese, c’è nervosismo già da 7 giorni prima. Come a Roma? Forse sì. Alla Lazio segno sempre, a partire dal primo gol in A. Non so perché, vorrei farlo anche l’11 gennaio. Di certo il rigore dello scorso anno è … un’emozione che mi è rimasta dentro: ero arrivato da soli 15­20 giorni. Ed era un derby decisivo». 

Roma tre punti dietro la Juventus. Quanto ci credete allo scudetto?

«In Juve-­Roma sono successe tante cose, meglio se non ne parlo più. Di certo in qualche gara potevamo fare di più e saremmo stati in vetta. Penso al Sassuolo, dove tutti eravamo convinti di vincere, meglio entrare sempre al 100%. In generale, però, la Juventus ha vinto qualche partita fortunatamente, noi siamo più forti. E quando vinciamo è perché giochiamo meglio. Allo scudetto ci crediamo. E ci proveremo fino alla fine». 

Tra poco tornerà anche a Firenze.

«Lì ho ancora casa, la città mi è rimasta nel cuore. Montella? Non lo sento spesso, ma è stato fondamentale per la mia crescita, diventerà il miglior allenatore del mondo. Ma l’ho già detto: se mi vogliono, a Roma ci resto almeno dieci anni». 

Dalla Fiorentina può arrivare in giallorosso Neto.

«Tempo fa abbiamo parlato, ma non vi dico perché. È un amico, un grande portiere, pochi sono forti come lui. Poi per i portieri basta un errore e si nota. Qui abbiamo grandi portieri come De Sanctis e Skorupski, ma spero di ritrovarlo». 

In un calcio fatto di soldi, tatuaggi e gioielli, qual è il principale vizio di Ljajic?

«Queste cose non mi piacciono, sono già matto a sufficienza (e ride, ndr). I tatuaggi poi proprio no: sono musulmano, non posso. Rispetto la mia religione, ci credo. E poi la mia famiglia non approverebbe. Mio fratello Vahid? È vero, lui era più forte di me: un classe 1994, ha smesso due anni fa. Aveva la mia tecnica, ma era più veloce. Ma anche più matto, non ne voleva sapere proprio di allenarsi».

Lei ha detto: «Ho vissuto tra le bombe, non possono farmi male i fischi». Ma ha subìto insulti razzisti, le hanno mai dato dello zingaro?

«Allo stadio è capitato. Non dovrebbero succedere. Pazienza, sono problemi di chi dice certe cose. L’importante è che non succeda faccia a faccia, direttamente. E per fortuna non è mai accaduto». 

Kakà o Sasa Ilic, chi era il suo vero idolo?

«Da bambino adoravo Kakà, vedevo il Milan sempre per lui. Ma Ilic era il capitano del Partizan, quasi un altro Totti. Quando sono salito in prima squadra volevo il numero 22 perché era il suo, che era andato via. Quasi mi hanno insultato, la maglia era stata ritirata. Poi chiamarono Ilic e lui disse sì. Ora è tornato e ha di nuovo il 22, lo abbiamo indossato quasi solo io e lui. Alla Roma adesso ce l’ha Destro, magari quando Mattia lo lascerà lo prenderò io». 

Potrebbe mai andare alla Stella Rossa?

«Impossibile, neanche per tutti i soldi del mondo. Ho il cuore bianconero, sono cresciuto nel Partizan, non potrebbe mai succedere. Come non potrei mai andare alla Lazio, del resto». 

Per chiudere, Pallotta l’ha sfidata a basket. Stavolta vi giocherete qualcosa?

«Già l’ho battuto, non mi aspettavo giocasse così bene. Da bambino ero un play dalla mano calda. Se lo ribatto vorrà dire che mi rifarà il contratto». 

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