(M. Pinci/E. Sisti) – Certi regali al mondo non si possono incartare. Sono giocate di prima a occhi chiusi, colpi sotto, lanci, assist, corse, sorrisi, semplicità, coraggio, ostinazione, autoironia. La rete dell’Etihad, la più “vecchia” della Champions League, è un dono a cielo aperto che persino Manchester, metà della quale era stata ridotta da quel gesto di Totti a una “sad city” tetra e preoccupata, non ha potuto fare a meno di apprezzare. Il talento dei grandi è un patrimonio planetario, ce ne accorgiamo negli stadi inglesi, se ne infischia delle frontiere, possiede facoltà rigeneranti, esalta ciò che lo circonda, pubblico, società, cultura, ambiente. Forse addirittura lo migliora. Il protagonista, “the greytest”, come lo hanno definito ieri i tabloid, il fenomeno diversamente giovane, il grigio per età che è rimasto ragazzino nel cuore, che ha scoperto la più inattesa delle adolescenze di testa e forse, perché no, anche di gambe, è quel Peter Pan di 38 anni che ha imparato a gestire l’impossibile desiderio che il tempo non passi, che esista soltanto un eterno, verde presente delimitato da righe bianche: «Lui si sente 28 anni, è una forza della natura», ha detto Garcia. Totti non vuole smettere, non può, non vede perché. Un atleta tecnicamente definito «patologico» (ossia passato in sala operatoria) come si gestisce? Cosa fa per conservarsi? Per essere pronto ad esprimere la massima qualità nell’estremo agonismo della Champions? Come può Totti, un campione di quasi 40 anni, gelare gli impulsi nervosi di Kompany, a effettuare uno scatto di nove appoggi, l’ultimo dei quali leggermente più ampio per togliere il tempo a Hart?
La manutenzione della macchina non è importante: è l’unica cosa che conta. È arte quanto le giocate di Francesco, ieri chiamato da Renzi per i complimenti. «Sono stato sorpreso, orgoglioso e contento». La sua revisione annuale inizia in una clinica di Merano, dove i cucchiai non sono quelli diretti ai portieri ma servono per girare le tisane. La dieta è ferrea (dell’amata Nutella sono rimaste le foto). Una settimana di depurazione, trattamenti, erbe drenanti per smaltire i liquidi in eccesso, massaggi rilassanti. La professionalità diventa l’elemento condizionante dell’intera giornata: chi dorme a Trigoria è spesso svegliato dall’auto di Francesco, la prima ogni mattina a varcare il cancello: colazione al bar del centro sportivo con pane e marmellata, due chiacchiere col barman, il custode, il magazziniere, il portinaio, uno sguardo ai giornali. In allenamento si affida a Vito Scala, il preparatore e l’amico. Al contrario di Zeman, che non gli concedeva sconti, Garcia ha capito che dosarne le forze sarebbe stata la sua forza. Con il francese Totti gioca in media 65 minuti a partita: in 7 occasioni è uscito tra il 72’ e il 77’, in 3 dopo l’80’, 6 volte è entrato partendo dalla panchina. Solo 8 match li ha giocati per intero: usurare la macchina non serve a migliorarne le prestazioni. I tempi di recupero sono cruciali soprattutto per le articolazioni, ossia per quei punti del corpo meno vascolarizzati dove vanno a depositarsi le angosce dello scheletro, l’artrosi, le tendinosi, le infiammazioni, tutto ciò che tende a cronicizzarsi dopo migliaia di minuti passati a esaltare la gente e a prendere botte.
Nel raffinato ragionamento delle cellule di un campione adulto sono quasi più importanti le pause, il silenzio, la notte, di quanto non lo siano le partite, gli allenamenti, la luce del sole. Totti teme l’horror vacui del dopo, di quando smetterà, e più gioca più questa sensazione s’ingrandirà. E non sarà tanto il dispiacere di dover rinunciare alla fascia di capitano o alla musica della Champions: forse gli mancherà di più il rumore secco dei tacchetti degli scarpini sul pavimento degli spogliatoi prima che l’arbitro venga a chiamare la squadra, quel sentirsi pronti ed emozionati sempre allo stesso modo: è la paura di allontanarsi dalla propria anima, dalle sue radici, dalla maglia, da se stesso. Ha vissuto periodi così neri, Francesco, è stato così terribilmente malandato, fra caviglie, schiena e ginocchia, che chissà quante volte si sarà guardato allo specchio e avrà pensato: «E adesso?». Ci vuole carattere e il fanciullino dentro per non chiudere bottega. Dei 38 gol europei, guarda caso, gli sta a cuore quello segnato al volo di sinistro allo Shakthar Donetsk nel 2006. La felicità era una leopardiana assenza di dolore: «Fu il primo di sinistro dopo l’operazione alla caviglia, solo dopo quel gol ebbi la sensazione che la gamba era uscita dal tunnel ». Sono passati otto anni da quell’evento liberatorio. Lui è ancora qui. Tottimo e abbondante.