IL FATTO QUOTIDIANO Il desiderio di essere Florenzi

Florenzi
Florenzi

(O. Beha) – Dalla serie tv Giovanna la nonna del Corsaro Nero, ad Aurora, la nonna abbracciata all’Olimpico dal nipote goleador Florenzi, è passato più di mezzo secolo. Due generazioni abbondanti di calciatori. All’epoca faceva scalpore l’inimitabile Antonio Valentin Angelillo che si presentava agli allenamenti mattutini di HH, nell’Inter, in abito da sera dopo una delle tanti notti brave. Ma era poco meno che un’eccezione. Il giocatore tipo di allora non aveva ancora preso – nell’i m m a g inario semimitico e vagamente onirico del pubblico – il posto degli attori di Cinecittà, che viveva la sua stagione d’oro, come sarebbe accaduto successivamente, negli ultimi trent’anni, allorché soprattutto la tv li ha mutati in star, tra il campo e fuori.

NEGLI ANNI 60 il sembiante del calciatore era ancora “antico”, pasoliniano, sfumatura alta sulla nuca e un’aria arronzata da giovane di leva. Naturalmente con le eccezioni dell’anticonformismo, dalla chioma alla Beatle al pappagallo o la scimmia sulla spalla. Oppure – un Vendrame è come un diamante, è per sempre… – contrasse – gnandosi per bizzarrie nell’epoca post-sivoriana, quando appunto Vendrame, fantasista meraviglioso e meravigliosamente inutile, faceva tappezzare il cielo da un aereo con i volantini che inneggiavano sul San Paolo non al tecnico Vinicio, bensì a lui… Molta acqua è passata sotto i ponti degli stadi da allora, e il fenomeno del calciatore star ha preso sempre più piede e più immagine. I segni distintivi vanno dall’orgia di tatuaggi alle criniere scolpite, roba che i pellerossa dei film gli fanno un baffo a tortiglione. C’è sempre la tensione tra comportamenti seri, da professionista nel tempo libero, ed eccessi che finiscono regolarmente e molto di più di una volta triturati dal sistema mediatico. Con tutte le conseguenze del caso sui ragazzi, inquadrati già da pulcini sulla falsariga dei grandi e quindi attentissimi, loro e purtroppo soprattutto le loro famiglie, a non farsi sfuggire nessun contrassegno che li proietti nel futuro. Girate tra i Primavera delle squadre più importanti, ma direi ormai un po’ di tutte, e la percentuale dei ragazzi non tatuati o dalla capigliatura “normale” vi risulterà immediatamente assai ridotta. Il capofila di questo genere di contemporanei è, come è ovvio, Mario Balotelli , da un pezzo ormai e sotto qualunque cielo una figura da cover più che da campo. Anche recentemente non lascia passare occasione per farsi notare, per quello che dice, quello che non dice, quello che fa e quello che avrebbe intenzione di fare. Giocare a calcio è un riduttivo optional, quasi un “pre-testo”, qualcosa che viene prima e giustifica l’aspetto ipermondano (mai ultramondano…) o gossipparo della faccenda, a Milano come a Manchester come a Liverpool come in Nazionale. Le cose stavano così quando poco dopo le 15 di domenica scorsa, segnato il secondo gol della sua squadra contro uno Zeman dalla sigaretta spenta, un giovane dall’aspetto qualunque ma dal talento ormai certificato prende la via della tribuna per abbracciare la nonna, un’Aurora ottantenne come ce la saremmo immaginata ai tempi del Corsaro Nero. A suo modo, nello stare in campo, nel non esibire se non quando lo richiede la stretta necessità una tecnica più che valente, nell’offrire tatticamente ogni tipo di disponibilità, anche Alessandro Florenzi è un corsaro dei rettangoli. Questo solo per connotarlo dentro di essi. Ma è fuori che qui ci interessa un giovane romanissimo che ha promesso alla nonna che “ha scarpinato fino qui, allo stadio, per la prima volta” per vederlo, che se segnerà correrà ad abbracciarla, nella commozione di buona parte dello stadio. Emotività poi esposta all’in – canto dai media, con l’affet – tazione di una nostalgia per “quando il calcio era davvero il calcio” che a occhio risulta finta, come quei soldi dorati ma di ottone che cadendo a terra si rivelano per un rumore sordo, nient’affatto aureo.

L’INTERROGATIVO più saliente che pongono nonna e nipote, ben al di là della Roma capolista o del giovane così dotato, mi sembra questo: Balotelli e la sua tribù di emuli, in crescita secondo un mio Istat personale, è il futuro di questo calcio e di questi ragazzi, mentre Florenzi ne rappresenta una particella anacronistica rivolta al passato, oppure sia l’iperbole dei Supermario che la contagiosa mozione degli affetti di Alessandro vanno valutati diversamente? Detto in soldoni, non sarà che di quel genere di macchine pubblicitarie ne abbiamo piene le scatole, e c’è l’ipotesi che un po’ tutti vorremmo essere dei Florenzi, certo perché segnano all’Olimpico ma anche perché poi abbracciano irresistibilmente la nonna? Lo so, parrebbe solo un pio desiderio, dopo il quadro che ho tracciato all’inizio, che ovviamente tratta Rotondolandia come uno dei territori dello sbracato ex Belpaese. Ma perché escludere che in profondità si possa arrivare alla saturazione, che il singolo e la collettività possiedano degli anticorpi, magari spesso scajolescamente a loro insaputa, che periodicamente funzionano e “ti fanno abbracciare la nonna”? Anche se poi ti ammoniscono e paghi felicemente la multa della società?

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