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DOPO PARTITA La lettura dell’incontro di Paolo Marcacci

Cole e Gomez
Cole e Gomez

Salgono umidità e un milione di moscerini, dal Tevere che vorrebbe essere biondo come la cresta catarifrangente di Nainggolan; sale adrenalina dagli spalti perché un popolo tifoso vuole riprendersi la goduria di godere la sua eco: è un campionato che inizia con la pretesa di essere “il” campionato. Vecchie conoscenze e suggestioni tutte tue: hai l’impressione che Montella e Aquilani si mordano il labbro pur di non intonare “Roma, Roma…”. La Fiorentina parte per essere attenta e corta come i palloni giocati da Pizarro, di certo appare meno bella di come la si ricordava, questione anche di assenze, Cuadrado su tutte. Se Savic fosse nato a Caracas, di certo ne avrebbe frequentato i peggiori bar: non per il rum ma per le attitudini all’illegalità con cui piazza l’entrata su Iturbe (vivace e alla ricerca continua dello spunto): mezza rissa e cartellini, siamo curiosi di conoscere le motivazioni di quello sventolato sotto il naso di Totti, adoperatosi per fare da paciere. Nainggolan, nel frattempo, è come certe berline tedesche: più chilometri percorre, più appare affidabile e brillante. Non è un caso che, mentre la Fiorentina si confonde addormentando se stessa invece della palla nella propria metà campo, sia proprio lui a rubar palla con tempismo quasi malvagio, innescando la fuga di Gervinho sul corridoio di sinistra: Neto di riflesso sulla botta dell’ivoriano, palla che torna in mezzo e uno a zero che arriva su conclusione fulminea e impietosa del numero quattro giallorosso.
A proposito di tedeschi: Mario Gomez appartiene alla schiera di quelli di cui, prima del triplice fischio, non puoi mai dire che non sia la loro serata; nessuno si sogna di farlo durante un intervallo in cui il rituale torello offre spunti di riflessione su quanto talento e quanti soldi abbia la Roma in panchina: da Ljajic a Borriello, passando per Destro futuro sposo. Il reparto arretrato, necessità e virtù, tiene e poco soffre: Cole è maestro di se stesso nell’amministrarsi, Torosidis è prestazione periodica, Astori e Manolas sono l’autovelox di Babacar e compagni, pur se al rodaggio dell’ex cagliaritano manca qualche giro. Si ricomincia con un rigore enorme su Pjanic e con Gervinho che semina – as usual – anche se stesso. Fiorentina che prova a far capoccella in avanti, come diciamo dalle nostre parti. Ai due terzi di partita cominciano ad aprirsi i varchi nella ztl viola: Pjanic offre pasticcini a Gervinho, che continua a divorare. La mediana dei toscani comincia a pizzicare le verticalizzazioni, ci si diverte un poco di più.
Dal sessantesimo al sessantatreesimo, Morgan santo subito: punizione magistrale di Ilicic sporcata sulla traversa, destro a botta sicura di Babacar, De Sanctis è un inferriata di ultima generazione. Minuto sessantasei: Keita per Manolas, scala De Rossi; la missione dell’ultimo terzo di partita è equilibrare la Roma contro una Viola vivacizzata da Joaquin. Minuto settanta: Florenzi per Totti, l’Olimpico applaude con fragore e disapprova: i bronzi di Riace sono meno tirati del Capitano della Roma, De Niro è meno protagonista. Serve altro? Montella manda dentro Aquilani per Vargas: fischi in sordina, più per abitudine che altro. A un ex fa ancora più male. Gervinho in mezzo, Iturbe arretrato: c’è da proteggere e da approfittare, Borja Valero e compagni prendono in mano il pallino, alla Roma potrebbe anche convenire. Chi giudicherà Iturbe, gli conti anche le botte prese e i palloni protetti: partita di sostanza, premessa luminosa. Ilicic continua a esibire il repertorio dalla distanza, alternando i piedi e facendo sgolare De Sanctis; la Roma esce meno, il pubblico capisce il momento e spinge il cronometro sul tabellone; nel frattempo è entrato pure Ljajic e il muso di Destro si è allungato, in panchina, comprensibilmente. Fuori Iturbe in un boato di approvazione. Al minuto ottantasette, su una palla persa da Ljajic, nasce un corridoio per Ilicic su cui De Sanctis, imprecando, deve uscire in acrobazia con un tempismo degno di Bruce Lee quando affrontò Chuck Norris. Non si può mai stare tranquilli, in nessuna delle due aree. Finale col pallino per la Roma, Pjanic ipnotizza, palla al piede, in fazzoletti di campo; a volte ipnotizza pure i giudici di linea che negano corner clamorosi. Minuti di recupero: Aquilani ammonito e fischiettato, manco fischiato; Garcia che arringa la folla; Pallotta che dietro il riflesso delle lenti da vista cela la tensione. Fiorentina alla disperata, Montella sguardo a mezz’asta di frustrazione.
Keita, cattedra universitaria in gestione della palla e dei ritmi: combinazione con Nainggolan, biglia in avanti per Gervinho, due a zero. Come fosse antani, dicevano alcuni indimenticabili buontemponi fiorentini.

Paolo Marcacci

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