DOPO PARTITA La lettura dell’incontro di Paolo Marcacci

De Sanctis

Roma con Totti: che differenza fa? Tutta la differenza del mondo, ancora oggi. E, pensate, non si allude al goal, un interno destro dopo un rimpallo che accarezza la palla alla gola dove la maggior parte dei giocatori ne avrebbe strozzato la traiettoria: qua si parla di uno – e solo – che sa ancora essere fonte di gioco e miglior terminale offensivo al tempo stesso; catalizzatore di palloni e redistributore sommo degli stessi, intelligenza calcistica che spinge su quadricipiti dove il mese abbondante di inattività non sembra aver appannato neppure una fibra.

I primi venti minuti se ne vanno con il tocchettare di un’Udinese accorta e ordinata, messa in campo da Guidolin col solito senno tattica e una buona qualità, a cominciare dal fosforo di Allan. Il fatto è che, un po’ come il destino o chi per lui, Gervinho , Gervinho toglie: la percussione con cui Pjanic da destra lo mette davanti a Scuffet – uno bravo, questo – fa strappare i capelli pure a chi non li ha, per l’ennesimo goal creato a colpi di progressioni imprendibili e divorato come una nuvola di zucchero filato; poi però nasce da lì la parata che favorisce il colpo da biliardo con cui Il Capitano fa uno a zero e allora resta mezzo pieno il bicchiere dell’ivoriano dal tachimetro infinito. Otto minuti dopo, alla mezz’ora esatta, Gervy fiuta nell’aria un appetito che non è il suo e riesce ad aprire un varco dalle parti di Basta – un altro che prenderemmo – per la fame di Destro: dribbling con la sciolina, frenata controllata, bocconcino del due a zero in fondo al sacco. Più facile il risultato che il copione della gara. Udinese viva, nel finale di tempo, con De Sanctis che schiaffeggia occasioni d’oro per Di Natale qualche centimetro più in là del goal a cui grida l’ex compagno a fine carriera.

Cosa c’è dentro il tè caldo dell’intervallo? Fatto sta che la Roma al rientro è più svagata, attenta e tempista solo a intermittenza, con il paradosso che Rodrigo Taddei – in piedi, please – risulta essere il più continuo e concentrato del pacchetto mediano: sbaglia a tratti Pjanic, si distrae pure Nainggolan. Non è tanto per il goal di Pinzi, un diagonale di sinistro di rara – soprattutto per lui – precisione del cinquantesimo, quanto per una serie di ripartenze friulane per vie centrali che costituiranno motivo di riflessione. Quando arriva, da distanze siderali, il tre a uno di Torosidis, pare sicurezza acquisita, eppure non è ancora così, anche perché dopo settanta minuti finisce tra gli applausi la partita di Totti e comincia quella di Florenzi. La Roma, Gervinho a parte, abbassa i ritmi e si comprime, Basta fa tre a due, si soffre troppo per i contenuti tecnici della gara e nonostante un Benatia da linea Maginot. Anche Romagnoli per Dodò – ancora tenero – e un’occasionissima per Florenzi che fallisce l’appuntamento col Carpe diem. Disordine e tentativi friulani, complice l’ingresso di Muriel, cronometro consultato a dismisura, finisce davanti l’Udinese. Ma finisce tre a due, soprattutto, in barba agli spigoli con cui Higuain aveva speronato il Torino e il regolamento nel tardo pomeriggio. Una volta, una gara così non la si sarebbe portata a casa. Vale comunque la pena riflettere, con un pensierino arancione, prima e dopo, a quanto ci manca – troppo – Kevin Strootman.

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