DOPO PARTITA La lettura dell’incontro di Paolo Marcacci

Totti

Quello dell’Olimpico è il colpo d’occhio del calcio moderno: quarantamila per un derby, fuori i colpevoli che sono più d’uno e anche arcinoti. Per la Lazio è un obiettivo assoluto, come si fosse ai tempi di Giordano-Manfredonia-D’Amico; lo straparlare di Reja alla vigilia ne rende sgradevole testimonianza, il rimbrotto di Garcia è già di per sé una presa di distanza stilistica. Tutto risaputo del resto, come la superiorità tecnica e di palleggio dei giallorossi, che la Roma evidenzia in ogni occasione.

Detto questo, quel poco che succede, tutto di matrice romanista, sempre poco resta, in un primo tempo i cui sussulti sono racchiusi in un fuorigioco appena percettibile, che strozza l’urlo in gola alla Sud per un ingresso trionfale di Gervinho oltre la soglia di Berisha e in una volée di destro di Capitan Totti – a tutto campo, as usual – che il portierino biancoceleste vorrebbe applaudire, più che bloccare a terra, un secondo dopo lo scoccare del ventinovesimo. Vola qualche ruvidezza, ma quasi sotto il minimo sindacale dei derby che sappiamo. Pjanic, da Garcia scelto per cominciare all’insegna del fioretto e del goniometro, oggi è leggermente impreciso, così come Gervinho appare leggermente meno dirompente del solito.

Comincia a scorrere anche il secondo tempo, che al pari del primo evidenzia la stessa estetica di un profilo di Dias, quindi ci siamo capiti.
I frangenti in cui la Roma si dispiega dalla trequarti in su, portano a chiedersi come mai la Roma non sia già perlomeno in vantaggio; la noia nel frattempo attutisce l’esordio di Bastos in luogo di Florenzi, sembra che la clessidra voglia sbrigarsi a far precipitare i granelli, perché anch’essa non ne può quasi più di questa stracittadina giochicchiata senza un grammo di quella cattiveria che c’era ai tempi di Giannini e Bergodi. Gli ultimi dieci minuti sono di Mattia Destro al posto di Totti, che quando esce si porta appresso i fischi di frustrazione di chi uno come lui non l’ha, non l’ha avuto e mai l’avrà. Sussulto di Bastos, uno che con la palla si diverte e la fa divertire, quando i giri di lancetta sono già ottantasei. Può finire così?

Sembra proprio di si, con la Lazio del ritornante Mauri che spesso si accartoccia nella guardiola della propria area a protezione del puntarello che vale una vittoria e la Roma che non esercita una superiorità che fa quasi rabbia, soprattutto perché il tabellone fa un regalo – il pari del Verona – che fa esplodere un boato di rimpianti. La Lazio festeggia, la Roma continua la sua corsa prestigiosa; a ciascuno il suo, da domani le differenze nei valori torneranno a pesare.

Paolo Marcacci

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