CORRIERE DELLA SERA Mezzo scudetto

Pirlo Totti

(R. Perrone) A guardarla dalla fine, Juventus-Roma sembra un’altra partita. Ma se la fine è nota, lo svolgimento è diverso: restano il trionfo bianconero e lo sprofondo giallorosso, ma il sedicesimo successo in campionato, il decimo consecutivo, come la grande squadra degli anni Trenta (cinque titoli in fila) di Madama non è così semplice come appare. I tre gol, la prima sconfitta, le due espulsioni subite dalla Roma, nascondono tra le pieghe una grande prestazione del gruppo Garcia, almeno nel primo tempo. Certo, ancora una volta, come accade nell’era Conte, la Juventus subissa di gol l’avversario allo Stadium (quattro vittorie, 14 gol fatti, uno preso), ma ora la partita è diversa e la Juventus la conquista perché nel primo tempo, sotto assedio, scende a patti con una prova gregaria, in trincea, con un atteggiamento che se non è catenacciaro nelle intenzioni, sicuramente lo è nei fatti. Eh no, non è la solita passeggiata di salute che si conclude in pochi minuti.

La Roma di Rudi Garcia dispiega profondamente i suoi valori all’avvio della gara costringendo fin da subito, con un contropiede (pasticcio di Bonucci) non sfruttato da Ljajic, la Juve all’accortezza.Il gol bianconero con cui si chiude il primo tempo nasconde il maggior possesso palla della Roma, il numero delle conclusioni in porta (due respinte di Buffon su Pjanic e Dodò) e il miglior gioco espresso dalla formazione giallorossa. Garcia piazza Gervinho a sinistra, per limitare gli affondi di Lichtsteiner, ma con scarso successo. Le incursioni dello svizzero sono determinanti per spezzare l’assedio. La Juventus si sorregge sulla solidità cromosomica, ma dà qualche cenno di nervosismo nel vedere che il suo ruolo le è stato espropriato. Va in vantaggio con Vidal (ottavo centro in campionato) al termine di un’azione in cui Lichtsteiner conquista prima una rimessa laterale e poi la sfrutta per servire Tevez. Grande difesa dell’Apache su De Rossi e invito a Vidal, tenuto in gioco da Benatia, per il destro sul primo palo. Da qui in poi, solo Roma. Madama esce nel finale con alcune ripartenze vanificate nell’attimo finale (assist o conclusione) da un errore o dal ritorno della retroguardia romanista.

Nel secondo tempo la Juventus si ripresenta in campo decisa a non farsi mettere sotto e viene premiata dal raddoppio di Bonucci che in spaccata, sfuggendo a Castan, capitalizza una punizione di Pirlo. La partita a questo punto si imbastardisce un po’, non tanto dal punto di vista comportamentale, quanto da quello tecnico-tattico. Garcia manda dentro Destro e Torosidis (per Pjanic e Dodò) e passa al 4-2-3-1, Vucinic rileva Tevez, acciaccato. Ma ormai si va a strappi, a ondate, a tentativi di sfondamento e in assenza di un preciso disegno la forza temperamentale della Juventus è superiore a chiunque. Non c’è cattiveria in giro, per cui risulta inspiegabile il brutto intervento a tenaglia su Chiellini che costa a De Rossi l’espulsione. Sulla punizione di Pirlo la Roma resta in 9: Castan respinge di mano sulla linea un pallone colpito da Bonucci (praticamente tre gol a difesa schierata). Vucinic realizza. Sipario.

La Juventus è regina d’inverno, ha otto punti sulla Roma, è la migliore dell’era Conte, ha una forza d’insieme capace di resistere anche nei frangenti negativi o con uomini fondamentali (Pogba, lo stesso Vidal) non certo brillanti. Mentre il dj dello Stadium continua a scassarci i timpani, due domande epocali sorgono spontanee: chi fermerà la musica e chi stopperà la Juventus?

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