IL ROMANISTA Francesco e Rudi, il 17 porta bene

Totti

(D.Giannini) Un’investitura del genere pesa. Tanto, e solo in senso positivo. Se un giocatore dice del proprio tecnico che «abbiamo trovato l’allenatore del futuro» è una vera e propria dichiarazione d’amore, un attestato di fiducia quasi sterminata. Se a dirlo, poi, è Francesco Totti, vale ancora di più. Tanto di più. Perché Francesco è Francesco, perché è 20 anni di storia della Roma. Una vita in giallorosso nel corso della quale di uomini in panchina ne sono passati tanti, 17 per l’esattezza, da Boskov a Rudi Garcia, appunto.

Diciassette storie diverse, lunghe o brevissime, storie d’amore o storie di una sintonia mai trovata, storie di addii e di ritorni, sergenti di ferro e fratelli maggiori. Ne ha conosciuti di tecnici, Francesco, nel calcio dei grandi. Questi 17 più Zoff, il Trap e Lippi in Nazionale. Venti, cifra tonda. Il primo era stato il vecchio, saggio, Vujadin. Che un giorno di marzo del 1993 a Brescia gli disse “Ragazzino tocca a te“. La storia ebbe inizio lì e se è diventata fantastica è anche per merito di Carlo Mazzone, che arrivò la stagione successiva e si prese cura di quel piccolo prodigio che si era trovato ad allenare. Nel febbraio del 1994 i giornalisti già circondavano il giovane Totti per fargli mille domande, all’improvviso entrò Mazzone e disse a voce alta “A regazzi’ vatte a fa’ la doccia, che co’ loro ce parlo io“. Per non fargli montare la testa, per proteggerlo, come un secondo padre.

La testa Totti non se la montò, in compenso di lì a pochi anni circondò i suoi piedi fatati con un fisico da atleta. Merito di Zdenek Zeman, che venne dopo la parentesi triste di Carlos Bianchi, del quale ormai si ricorda quasi solo il rischio che ha fatto correre ai romanisti con la sua volontà di dare via Francesco. Bianchi scomparve velocemente come era apparso.

Totti restò, superò quel periodo, archiviò quella stagione conclusa con la coppia Liedholm-Sella per far sbocciare il suo talento assieme all’amore per Zeman. Un amore iniziato in maniera travolgente nel 1997 e rimasto intatto per 13 anni. Più forte di tutto, più forte del tempo, più forte di un’annata storta, lui forse l’unico a seguire fino in fondo, fino all’ultimo minuto possibile, il credo calcistico di “Sdengo”. Poi fu tempo di vittorie con Capello, che rimarrà l’allenatore del terzo scudetto anche se, andando via, non ha lasciato cuori infranti. E di seguito Prandelli che restò pochissimo, così come Voeller e Sella. Un po’ di più rimase Delneri, quello che lo fece giocare a centrocampo a Reggio Calabria. E ancora Bruno Conti, prima del lungo ciclo Spalletti, che lo inventò centravanti per necessità e con il quale scoccò la scintilla che divenne fiamma per anni belli e meno vincenti di quanto avrebbero dovuto prima di tornare ad essere scintille prologo di separazione.

Il resto è storia recente: Ranieri, Montella, Luis Enrique, lo Zeman bis e Andreazzoli. In totale 16 allenatori. Alcuni così così, alcuni normali, alcuni grandi. Come grande è lui, Francesco. Che, alla soglia dei 37 anni, sul nuovo tecnico potrebbe dire qualche frase di circostanza, nascondersi dietro a un banale “sono a disposizione del mister“. E invece no, lui che ha 16 allenatori alle spalle, punta forte su Rudi, fortissimo. E dice «abbiamo trovato l’allenatore del futuro». Una dichiarazione d’amore alla quale l’allenatore del futuro, che è anche e soprattutto quello del presente, risponde così: «Totti non è solo un immenso giocatore, ma anche un grandissimo uomo, di classe e qualità». Il passato, il presente e il futuro che si incontrano, che si fondono, che viaggiano insieme. Perché il futuro è già adesso, il futuro è Parma, il futuro è quella dopo (più delle altre) e quelle dopo ancora. Il futuro è Roma.

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