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CORRIERE DELLO SPORT Dieci minuti da sogno

Esultanza

(G.Dotto) Mi stavo giusto chiedendo con una punta di stizza: ma quando questo Pjanic si deciderà a fare il Miralem, l’uomo da ammirare? A diventare cioè quello che tutti noi evochiamo da un pezzo. Sto lì che metto la sordina al molesto pensiero quando il delizioso ragazzo che parla e calcia come un principe (sarà mica lui la reincarnazione bosniaca del principe di Frattocchie?) tocca sotto da distanza che pare peccato di superbia solo pensarlo, figuriamoci calciarlo, e la palla ha uno di quei percorsi che inchiodano un bambino tifoso a vita. Palle da sogno.

Mi stavo poi chiedendo: ma questo Adem Ljajic, Doppio J, con questa faccia mezza monello e mezzo efebo viscontiano, vuoi che perda un’occasione così, tutto d’un fiato, dal viola al giallorosso, ratto a Firenze, debutto all’Olimpico, per mostrare quant’è sfrontato? Stavo carezzando l’idea quando il biondo (ma quanto si addice il biondo al giallorosso?) mi scaraventa di prima intenzione, ancora prima di qualunque intenzione, un destro così cattivo nella porta del Verona che ho sentito netta la fitta sotto il costato al posto di Rafael (ma quanti Rafael portieri ci sono in giro per il mondo?). E, bestemmia, mi rendo conto, Lamela è già un vago ricordo. Prima ancora lo stinco di tale Cacciatore, il giorno in cui si apre la stagione della caccia a gazze e cornacchie, aveva premiato l’ultima percussione di Maicon che, quando percuote e quando esulta, senti il rumore della foresta. Dieci minuti ciclonici e tre gol sotto la Nord, in assenza di Sud. Vuoto che fa scandalo, a partire dalla motivazione (la Sud razzista? Ma fateci il piacere!).

Stesso film, più o meno, di Livorno, ma molto, molto più godurioso. Nel primo tempo la Roma spalma la colla, fotografa la vittima, la inchioda, ne studia velleità e debolezze, le registra e le archivia, nel secondo tempo la mata. Là fu la botta liberatoria di De Rossi, qua lo stinco suddetto. E’ il gioco perfido del torero. Infilzata la prima spada, annusato l’odore del sangue, diventa un leggiadro ballerino a disposizione degli olè di folla. Era un match più complicato stavolta. Dieci veronesi dietro la palla e solo quel cammellone di Toni lasciato davanti a pestare e a farsi pestare. Ci voleva pazienza. La pazienza dei forti.

Le cose che funzionano erano già tutte chiare nel primo tempo, anche prima dello stinco: la difesa che rischia poco o nulla, il pressing alto, l’idea di una squadra molto solida, molto presente e un centrocampo che ha un assortimento di qualità (Pjanic), forza e ferocia (De Rossi e Strootman) da paura. De Rossi, per me, migliore in campo.

Sono stati tre, ma potevano essere almeno cinque o sei. E il possesso di palla a venti minuti dalla fine, quasi due minuti di euforica circolazione palla, tutta di prima, non è arroganza, ma quasi commovente, senza quasi. Una banda di ragazzi che vogliono ritualmente testimoniare, passandosi la palla, la loro felicità di stare insieme. Il gruppo cresce con furia plasmoniana. Due partite, sei punti, zero gol subiti, cinque gol fatti e cinque autori diversi, loro insieme a napoletani e juventini. Quanto basta per un patto di sangue, con vista sul derby.

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