DOPO PARTITA La lettura dell’incontro di Paolo Marcacci

Esultanza gol Gervinho

Quando Antonio Canova modellò i fianchi di Paolina Borghese, senza saperlo stava già illustrando il modo in cui Totti accarezza la palla. La similitudine dovrebbe inorgoglirlo: Canova, ovviamente, se fosse ancora tra noi. Istantanea lucida di pioggia per raccontare una serata dove l’umore è il miglior anticorpo contro il raffreddore, se stai dalla parte giusta. Altrimenti fai la fine di Pioli, cui la giacca si restringe addosso come il tempo che forse gli resta in panchina, se l’andazzo per il Bologna dovesse continuare a essere questo. È pur vero che i felsinei non hanno avuto neppure il tempo di capire, come quegli avversari del Tyson dei tempi belli, che quasi sentivano il fondo del ring prima con la schiena che con i piedi. A parte il discorso di un Capitano patrimonio dell’Unesco e impermeabile all’acido lattico, che mette il goniometro coi tacchetti al servizio di tre quarti di goleada, la Roma della sesta vittoria consecutiva sembra un film di Scorsese, dove ogni faccia, anche quelle che vedi per un paio di fotogrammi, è un tassello perfettamente inserito nel contesto. A cominciare dal ghigno di Gervinho quando l’istinto gli suggerisce lo scatto da savana, stasera col mirino tarato di fresco, oltre che col dribbling fotografato dal temporale. I lampi sono flash che immortalano ogni anticipo di De Rossi, tempista come Alonso quando stacca in frenata; ogni scatto diligente di Florenzi, che legge nei rimpalli il destino della sfera pure senza il fondo di un caffè, neppure del Borghetti che conforta contro l’umido; ogni dente di Strootman, che pare sorrida e invece vorrebbe solo staccare a morsi la palla a chiunque gli si pari davanti; qualsiasi scatto, non solo d’orgoglio, di Federico Balzaretti, che oltre alla fascia di competenza adesso avrebbe la sicurezza di scalare l’Everest a mani nude. Il resto è tutto un meccanismo che gira alla perfezione, dove anche Taddei torna utile e pronto per non interrompere il moto degli ingranaggi, protetti dalle spalle monumentali di Benatia. Ljajic è la solita pralina da godersi alla fine di una cena perfetta, quando qualsiasi conto lo pagheresti volentieri e daresti una lauta mancia a qualsiasi cameriere, anche se avesse la faccia di Russo di Nola, per dire.

In vetta piove, perché è arrivato l’autunno, ma nessuno accusa vertigini, neppure Torosidis, che è uomo di mare. Già, il mare: la Sud increspata di vessilli fa venire voglia di prendere il largo.

Paolo Marcacci

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