CORRIERE DELLA SERA Il tifo, la fede e il dialogo

Curva Sud

(L. Valdiserri) – Ci voleva la Roma meno romana di tutti i tempi – c’è chi dice la meno romanista – per adoperare così tanto la parola «laziale», usata come insulto calcistico ma anche come tentativo di farsi accettare presso una tifoseria sempre più delusa e in molti casi incattivita. «Laziale » è stata la stilettata di Osvaldo ad Andreazzoli dopo il derby perso in finale di Coppa Italia (con il centravanti in panchina per quasi tutta la partita). «Laziali» è stata l’incauta definizione data da Rudi Garcia a chi ha contestato la Roma (a Riscone e altrove), perché romanista è solo chi ama senza discutere. Nel primo caso c’è stata un’assenza di comunicazione da parte della società, nel secondo si è mandato Garcia allo sbaraglio, pensando che per difendersi bastasse un’arma scarica: lo slogan.

La «nemica » della Roma, quando è stata Grande Roma, era la Juve. O, in tempi più recenti, l’Inter di Moratti. Il derby è stato l’appuntamento più importante della stagione solo quando è stata Roma o, peggio ancora, Rometta. La società made in Usa, che ci aveva promesso di guardare l’orizzonte, ora ha la vista più corta. La rivalità è sacrosanta, ma è dalla scelta del «nemico» che si capiscono le aspirazioni. Un articolo pubblicato ieri dal «Corriere dello Sport» parla della dittatura di un certo tipo di tifosi (non solo della Roma) e del livello del giornalismo, scritto e parlato, che gravita invece proprio intorno ai giallorossi. Efficace la sintesi: insulto, ergo sum.

Ma, forse, serve un passo ulteriore. Giancarlo Dotto ha ragione da vendere su un punto: la deriva che, non solo nel calcio, ci ha portato a una società dove l’intolleranza è la regola e non l’eccezione. Però, anche senza scomodare Cartesio, non è accettabile l’idea che per far parte di una comunità si debba rinunciare al diritto in critica in nome dell’adesione fideistica. Si critica anche e soprattutto quello che si ama, se la critica è costruttiva. Diciassettemila abbonamenti per una squadra che da due anni fallisce ogni obiettivo sportivo sono il segnale di una fiamma non ancora spenta. Questa gente non merita di essere maltrattata in conferenza stampa dopo esserlo stata sul campo. Il compito dei mass media è non scendere di livello per vendere una copia o avere un ascoltatore in più.

Raccontare non è solo descrivere, ma anche inquadrare. C’è un rispetto dovuto ai tifosi, ma anche ai giocatori e ai dirigenti della Roma. Nessuno gioca «contro», perché la realizzazione nella propria professione, qualunque essa sia, è alla base dell’autostima. E poi qual è il vero Sabatini? Quello che compera Piris o quello che scopre Marquinhos? E quale il vero Zeman? Quello che fa diventare lo stesso Marquinhos un potenziale campione o quello che manda in porta Goicoechea?

Non è sempre facile giudicare, a meno che non si creda di possedere la verità, unica e indiscutibile. Un fatto di fede, insomma, non di dialogo. I due compiti, visti oggi, sembrano due obiettivi quasi impossibili. Eppure sono l’unica strada percorribile per avere una Roma condivisa, sana e con un futuro. Gli altri percorsi portano al buio delle idee e delle passioni. La Roma si discute e si ama.

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