IL ROMANISTA In panchina con la legge del 3

liedholm

(M. Izzi) – I vecchi frequentatori dello Stadio Olimpico sanno che cos’era la “legge del tre”. Con quella Roma travolgente e con lo scudetto sulle maglie, che spesso e volentieri rifilava tre gol di scarto ai suoi avversari. Benissimo, esiste un’altra legge del tre, meno esaltante ma certamente degna di essere analizzata. In questi ottantasei anni di storia, infatti, la Roma ha cambiato allenatore nel 1933, 1943, 1953, 1963, 1973, 1993 e come sappiamo si accinge a farlo per la seconda volta, anche nel 2013 dopo la staffetta Zeman– Andreazzoli consumata all’inizio di febbraio. Partiamo dagli albori, ovvero dall’approdo di Luigi Barbesino alla guida della Roma che segnò una svolta epocale.

E’ vero che i grandi maestri anglosassoni: Garbutt e Burgess (soprannominato Hercules), avevano dato una prima impostazione al gioco della Lupa (e in un senso più profondo anche al suo DNA perché le caratteristiche assimilate in quegli anni diventeranno “un must” irrinunciabile per la tifoseria) ma è con Barbesino che per la prima volta un vero e proprio metodo strutturato inizia a guidare la vita della prima squadra. Barbesino, si accostò al concetto di preparazione atletica includendo un lavoro di potenziamento fisico in palestra. La sua Roma diede spettacolo e la longevità sulla panchina giallorossa del tecnico (quattro anni consecutivi senza esoneri, un record che sarà battuto solo dal secondo “mandato” romano di Liedholm) è lì a dimostrarlo. Barbesino morirà da eroe (assieme ad un equipaggio di sei uomini che contava anche sul capitano pilota Domenico Valsania e sul sergente pilota Antonio Sirignano), abbattuto, il 20 aprile 1941, a bordo del suo Savoia Marchetti S. M. 79, mentre era in volo da Sciacca a Kerkenna.

Nel 1943, sarà proprio il precipitare del conflitto che aveva immolato Barbesino, a richiedere a Guido Masetti, di assumere, nell’atipico ruolo di giocatore-allenatore, la guida della prima squadra. Masetti che avrebbe poi intrapreso una carriera da allenatore ma prevalentemente nel settore giovanile, cercò di conciliare la gestione economica del club con quella tecnica. In quei mesi, infatti, la Roma si era trasformata in una cooperativa e gli incassi erano divisi tra i giocatori e i rappresentanti della società per consentire, come avrebbe detto Edoardo, di “passare la nottata”. Assieme a Masetti, anche Borsetti, un altro grande vecchio della Roma di quegli anni, diede il suo contributo. Altro salto di una decade e ci troviamo di fronte a Jesse Carver (che inizialmente avrebbe dovuto convivere con Varglien nel ruolo di direttore sportivo ma che si ritrovò da solo al timone per il rifiuto di quest’ultimo a collaborare). Allenatore di grande fama (nel 1955 in un incontro all’Hotel Quirinale sembra che Sir Stanley Rous, all’epoca segretario della Football Association, gli avesse offerto la panchina della Nazionale Inglese) nella Roma fa un figurone centrando il terzo posto, piazzamento che sarà migliorato solo nel 1981.

Purtroppo a quel lavoro non si potette dare continuità perché Carver rimise il mandato, senza mai voler spiegare la natura di quella scelta (appare difficile che a convincerlo fosse stata la possibilità di tornare in Inghilterra ad allenare il Coventry City, visto che nel 1956 era di nuovo a Roma, ma sulla sponda biancoceleste). Da un britannico passiamo a uno spagnolo enel 1963 troviamo Luis Duarte Mirò. Arrivò, in verità dopo un periodo turbolento che aveva visto candidati al ruolo personaggi del calibro di Schiaffino (che avrebbe dovuto affiancare il traballante Foni che poi si decise di esonerare), Scopelli, (il mito di Testaccio fuggito rovinosamente nel 1935 assieme a Guita e Stagnaro), e Malmania, l’allenatore del Betis di Siviglia. Alla fine la spuntò Mirò che guadagnò alla Roma la finale di Coppa Italia poi vinta da Lorenzo. Nel 1973 è la volta di Manlio Scopigno. Il personaggio, straordinario, meriterebbe non un libro (scritto nel 2002 da Giulio Giusti), ma un’intera enciclopedia. A Roma, probabilmente, arrivò quando aveva già dato il meglio di sé, consumato dall’esaltante esperienza vissuta in Sardegna alla guida del Cagliari campione d’Italia. Rimane emblematico il suo sconforto dopo la sconfitta di Foggia che portò a un nuovo avvicendamento, quello con Nils Liedholm.

I giornali scrissero che nell’addio di Scopigno avessero pesato le ingerenze nelle scelte tecniche del General Manager Sbardella che dopo la sconfitta di Genova (4 novembre 1973) aveva telefonato sia a Ginulfi sia a Santarini esprimendo pareri poco lusinghieri sulle scelte del Mister e sul comportamento in campo di altri giocatori. Dimessosi Scopigno, nel cuore della notte, da Firenze, arrivò a Roma Liedholm. Anzalone nello sceglierlo si assunse tutte le responsabilità. Già in estate il presidente aveva pensato al tecnico svedese, ma il consiglio aveva spinto per la designazione di Scopigno. La scelta di puntare su Liedholm non solo non sarà un errore, ma aprirà il momento più glorioso della storia della Roma, concretizzatosi poi, nel 1979 al rientro del Barone da Milano. Ancora poche righe per citare, nel 1993, l’ingaggio di Carlo Mazzone, a lui, impossibile non ricordarlo di questi tempi, è legato un bel 3-0 inflitto alla Lazio ….

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