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GAZZETTA DELLO SPORT Julio Cesar: “Io alla Roma? Vediamo dopo la Confederations”

Julio Cesar

(A.Elefante) Tre mesi fa a Ginevra fu forse il migliore del Brasile, l’altro ieri sera a Salvador si è visto più che altro per la rabbia sul gol del 3-2 convalidato: cartellino timbrato senza straordinari, minimo sindacale di parate, «perché sul tiro di Giaccherini c’era poco da fare». Dopo il 2-2 nell’amichevole di marzo, Julio Cesar disse del Brasile: «Se il portiere ha così tanto lavoro da fare, vuol dire che qualcosa non va»; dopo il 4-2 dell’altro ieri, dice che Buffon non deve preoccuparsi più di tanto.

Perché, Julio Cesar?

«Perché da marzo è stato più che altro il Brasile a crescere, non l’Italia ad aver fatto passi indietro».

Ma un po’ di differenza c’è stata, no?

«Quando abbiamo saputo che non ci sarebbero stati Pirlo e De Rossi ci siamo detti: meglio così. Può bastare come differenza?».

Cosa le è piaciuto dell’Italia?

«Le loro facce in campo, soprattutto nel secondo tempo: si vedeva da come ci guardavano che avremmo dovuto faticare fino alla fine. E’ una squadra che non molla mai e noi lo sappiamo bene: da 2-0 a 2-2 a Ginevra e stavolta da 3-1 a 3-2, con Maggio che ha preso quella traversa da paura. Ho guardato la porta per vedere se era tutto a posto, temevo si fosse staccata la traversa».

A proposito di caratteristiche precise: 8 gol subiti dall’Italia in tre partite non l’hanno meravigliata un po’?

«Ecco, questo un po’ sì: non è normale, per l’Italia. Però credo sia un po’ più normale visto la strada che ha preso Prandelli: una volta Italia era uguale a gioco difensivo, oggi si nota che cercate altro, che non aspettate e basta».

Da portiere: era parabile quella punizione di Neymar?

«Lo può dire solo Gigi: parlare dall’altra parte del campo è troppo facile. E comunque non lo dite a Neymar che si poteva prendere: era entusiasta di come l’ha calciata».

Come ha visto Balotelli?

«Bene, molto bene: la solita bestia e il solito matto, ci siamo fatti un sacco di risate. Mario è cresciuto tanto da quando giocavamo insieme e crescerà ancora tanto. Guardate che fare la guerra con Thiago Silva, David Luiz e poi anche Dante mica è facile: lui si è sbattuto come un matto, si vedeva che voleva far gol per forza. Anzi, me l’ha proprio detto».

Troppo solo, là davanti?

«Non credo che Prandelli tenga in panchina El Shaarawy perché è impazzito, no? So che contro di noi non stava bene, fa ancora in tempo a lasciare il segno in semifinale, può essere la sua partita».

E in finale, come sarebbe la 2a puntata di Brasile-Italia?

«Ancora per un anno saremo concentrati più che altro su noi stessi, non su chi incontreremo: siamo una squadra in cerca d’identità e il tempo per trovarla non è tanto, ecco perché qualunque gara è un modo per crescere, a prescindere dal fatto di incontrare Italia, Spagna o chi sarà».

Poi la rivedremo in Italia, magari a Roma, o sono soltanto delle voci?

«Il mio agente sta lavorando, ma riparliamone a fine Confederations: meglio gioco qui, più porte possono aprirsi. Non credo che l’Italia sia una porta chiusa solo perché ho giocato nell’Inter, ma è ancora presto per parlarne, davvero». Julio Cesar di porte se ne intende: se lo conosciamo un po’, di aperto c’è qualcosa in più di uno spiraglio.

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