IL ROMANISTA De Rossi, il bacione a Firenze

De Rossi

(D. Giannini) – Ogni mattina successiva a una vittoria è una bella mattina, un risveglio felice. Il giorno dopo la nottata del Franchi è anche un po’ di più, perché ci si rende conto che la Roma di ritorno dalla trasferta di Firenze si è portata dietro non solo i tre punti e una grande esplosione di gioia sotto lo spicchio dei propri tifosi. A ben vedere, motivi per tenersi quel sorriso stampato in faccia per un po’ ce ne sono anche dopo una partita fin troppo sofferta. Tra questi, forse in cima a questi, c’è un grande Daniele De Rossi, autore di una prestazione maiuscola. Da De Rossi. È stata lui la pennellata di giallorosso su una tela in buona parte dipinta di viola. Lo stesso colore che domina le tradizionali statistiche sulla partita pubblicate dalla Lega di Serie A.

Possesso palla, passaggi, tiri, tutti numeri sbilanciati dalla stessa parte. Tranne due: il risultato finale ovviamente, che poi è quello che conta più di ogni altro, e il dato delle palle recuperate. Anche qui il secondo, terzo e quarto posto sono degli avversari. Ma al primo posto c’è proprio De Rossi, l’uomo che ha strappato più palloni all’altra squadra, più dei difensori, parecchi più di Pizarro. Venti volte a riprendersi la sfera e un paio di salvataggi provvidenziali. Tutto in uno stadio che per lui significa tanto. Lì, al Franchi, 12 anni e qualche giorno fa Daniele si sedette per la prima volta su una panchina in Serie A. Era la stagione dello scudetto, era la partita del “Semo tutti parrucchieri” perché giocata di lunedì. Lui, ancora ragazzino, venne chiamato all’ultimo perché Capello non volle rischiare di convocare Ferronetti alle prese con l’allergia. Non finì bene quel giorno, ma finì benissimo un paio di mesi più in là. Poi la Fiorentina scomparve per far ritorno nel calcio che conta nel campionato 2004-2005. Nella prima giornata di quel campionato Daniele, che nel frattempo era diventato De Rossi, era titolare. Di fronte proprio la Viola. Uno a zero per la Roma, gol di Vincenzo Montella che quell’anno di gol ne fece una valanga e che sabato invece stava dall’altra parte. Qualche mese dopo, a gennaio, per De Rossi arrivò anche il primo gol alla Fiorentina, in Coppa Italia. Il primo, non l’unico. Due volte gli ha segnato anche in campionato, nel 2006 e nel 2009, in entrambe le occasioni furono vittorie per 3-1.

Sabato non è servito, sabato ha “solo” tirato fuori una partita super. A fare muro in mezzo al campo per consentire che quel colpo di testa di Osvaldo a tempo scaduto fosse memorabile. Poi via, di corsa insieme ai compagni verso lo spicchio di Franchi occupato dai romanisti e il suo sorriso che rimane impresso quasi quanto la gioia rabbiosa di Dani a un passo da lui con la fronte attaccata alla vetrata. Un grande De Rossi, finalmente. E quando non è ancora troppo tardi. Perché questa strana stagione sembra aver aspettato la Roma, o forse è stata brava la Roma a farla aspettare. E ha aspettato anche il vero De Rossi, che ora ha quattro partite per trovare anche il primo gol. Magari già domani contro il Chievo al quale ne ha già fatti quattro, due nell’anno della rincorsa all’Inter, uno decisivo all’andata, uno emozionalmente enorme nel giorno del “Chi tifa Roma non perde mai”. Domani riecco il Chievo, poi il Milan e quindi il Napoli. Ma forse c’è una ragione superiore che ha voluto che ci fosse ancora quello zero nella casella dei gol. E che magari continui ad esserci fino alla fine. Una ragione con su scritta una data: 26 maggio

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