AS ROMA Pallotta e il peso delle parole

 

Pallotta

Le parole di Pallotta, il presidente che non ama la cravatta e che preferisce farsi chiamare semplicemente Jim, sono rimbalzate velocemente da New York fornendo ampio materiale ai media di tutti i tipi per una miriade di commenti più o meno adeguati. Sicuramente qualcosa va approfondito.

Nella conferenza newyorkese, il presidente americano ha messo giustamente l’accento sui progressi fatti dalla società rispetto al brand, al marchio Roma che può avvalersi ora di un accordo decennale con il colosso Nike (cosa impensabile fino a qualche tempo fa), dell’esclusiva con la Disney nonché di abbinamenti ai massimi livelli come l’accordo stretto con la Volkswagen. Tutto bene, anzi, benissimo. Resta il fatto che questi ed altri mega-sponsor, che saranno sicuramente i benvenuti, per quanto possano migliorare l’immagine, non possono fare direttamente risultati, punti in classifica.
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Pallotta si è mostrato ottimista, soddisfatto della scelta-Parnasi e delle poche difficoltà (a suo dire) fin qui incontrate nello sviluppo del progetto da concretizzare sull’area individuata di Tor di Valle. Non c’è dubbio che tra i tanti fattori che possono potenziare la Roma, lo stadio sia quello principale. Fossimo in Mister Jim non sottovaluteremmo però la burocrazia romana e i suoi mille bizantinismi.
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Qui qualcosa non torna, o forse è solo questione di tempistica. Pallotta dice che gli telefonano un po’ da tutto il mondo informandosi sulla possibilità di entrare in società. «Ci mancano 75 milioni…» che non sono pochissimi. E il pensiero va alla bislacca (definiamola così) trattativa con lo sceicco umbro Al Qaddumi. D’accordo, in fondo è stato perso solo un po’ di tempo e basta, ma dei tanti possibili investitori che chiamano gli uffici della Raptor, possibile che sia stato firmato un precontratto proprio con lui? La domanda sorge spontanea: ci sono davvero questi investitori al telefono?
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Fonte: Corriere Dello Sport
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