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IL ROMANISTA Paradise City

Esultanza

(T. Cagnucci) – Non è stata una traiettoria perché una traiettoria ammette delle possibilità, non è stata una parabola perché una parabola dà tempo per accompagnarla, sperarla, tifarla, guardarla, quel tiro è stata una decisione di Dio: perché doveva andare così, non poteva che andare così, stavolta non poteva andare diversamente. Una scia che puoi ancora guardare a testa in su, dove sta la stella polare della curva Sud. Il tiro di tutti i tiri, un gol che ha la notte in bocca. In quel calcio c’è lo sforzo, il sudore del pane quotidiano, la preghiera di chi ci crede eppure di chi bestemmia, c’è tutta la carriera di Francesco Totti: è la “pezza” da ragazzino, quella contro il garage a San Giovanni, la mazzafionda contro il Palazzo, quello del Potere, quello di vetro e delle segrete stanze che nella vita così come nei gialli e nei romanzi sono sempre e solo bianconere.

E’ una mazzafiondata che sa di saliva e strada. Di odor di cose vere. E’ giustizia per Pomigliano, per gli esodati, per chi non si è mai piegato. Per la televisione sarà venduto come un “bolide”, sarà un “spot” per trequarti del calcio mondiale, ma da questa parte (Roma) è soprattutto tanta tanta voglia di amare. In quel tiro ci sono tutti i tiri e tutti i sogni dei ragazzini romanisti che sognano un giorno di battere la Juventus. Sotto la Sud. Dritto per dritto sotto la Curva, dritto sotto la Curva. Dritto sotto la curva. E’ il cortocircuito della geometria, la perfezione della matematica. Il gesto dell’attimo, la negazione del tempo che scompare nel momento stesso in cui si fa vedere, qualcosa da far commentare a Carmelo Bene. O a un ultrà della Sud. E’ lo stesso. Un viaggio di sola andata direzione Paradise City: sta lì adesso Totti a mangiarsi la prima mela caduta dall’albero di Eva colpito con quella pallonata.

Grazie a lui l’uomo è rientrato nel giardino terrestre (e l’inferno esiste solo per chi ne ha paura). Fatece largo che… sono gli juventini che restano a bocca chiusa. La Roma ha vinto Sanremo, e l’asteroide che non doveva cadere è passato qui, pure il terremoto c’è stato ieri epicentro stadio Olimpico… Queste sono cose già sentite, bisogna sentire meglio quello che ha urlato ieri Roma-Juventus 1-0, come una volta con gol di Di Bartolomei. E’ stata la notte in cui la Roma, finalmente, ha capito di essere Roma e finalmente l’ha dimostrato. Di fronte avevi la Juve, la matrigna di tutte le partite, la squadra che pure quando non lo è è la più forte per forza (e mai per amore). Di fronte avevi la possibilità – l’unica se sei romanista – di dimostrare a tutti e soprattutto a te stesso di essere la Roma. Totti la partita l’ha vinta in settimana dicendo esattamente questo: che noi siamo la Roma, che tutti sono la Roma.

La partita l’hai vinta quando alle otto e un quarto sei andato sotto la Sud finalmente a viso scoperto e con la fame come quando da ragazzino era ora di tornare a casa (erano 3.291 giorni che non li battevamo qui): un modo per non nascondersi, mettersi a nudo, per dire stasera: “vale per tutte”. E chissenefrega se tra un po’ la notte del riscatto diventerà il mattino del rimpianto, perché una squadra così, che sa dare (DARE) così non può avere quei punti di distacco, non può non stare dove è riuscita ad arrivare ieri. Su una stella. Solo con un calcio.

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