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ORA D’ARIA Le ferie degli altri

Ora d’aria di Paolo Marcacci

La prima cosa di cui si sorprende il tifoso, non solo giallorosso, sono le definizioni, in questo inizio di 2013: “Ricomincia il campionato” sentiamo dire da più parti, come fosse una notizia strabiliante e come, soprattutto, se si fosse vissuta una crisi d’astinenza da pallone per curare la quale stanno per arrivare le spettacolari sfide del primo week end calcistico dell’anno.

In realtà, come appassionati e forse ancor di più come scommettitori, tra Natale e Capodanno abbiamo fatto una scorpacciata di grandi partite, grandi giocatori, risultati rocamboleschi e, viste attraverso la tv, grandissime cornici di pubblico; un pubblico entusiasta e ultracomodo in stadi che noi al momento possiamo soltanto ipotizzare fidandoci delle tempistiche che ci vengono indicate in linea di massima.
Evitiamo poi di tornare su quelle che sono le differenze tecnico-estetiche tra una partita di livello medio del nostro torneo e una della Premier League perché altrimenti c’è da tirar fuori il fazzoletto bianco per mettersi a piangere tutti assieme.
Quello che interessa qui sottolineare è che lo stadio a Natale o a Capodanno qui da noi diventerebbe in breve il circo del terzo millennio: senza scuole e con i ritmi di lavoro rallentati per molti cittadini, molte più persone e molte più famiglie verrebbero solleticate dall’idea di trascorrere un pomeriggio accanto alla squadra del cuore, costi permettendo e magari sfruttando promozioni natalizie per famiglie create proprio all’uopo. Oltretutto, con la considerazione che se il circo calcistico è tradizione alle latitudini e con i climi inglesi, non si vede perché debba risultare problematica la sua fruizione, salvo eventi climatici eccezionali, in un paese mediterraneo.
Culturalmente, dirigenti e soprattutto calciatori italiani sarebbero pronti al “sacrificio” (virgolette rese più marcate dal momento storico ma che avremmo utilizzato anche in fase di prosperità)? Beh, verrebbe da rispondere che eventualmente sarebbe problema loro: rendere il pubblico “padrone” almeno della tempistica di fruizione dello spettacolo sarebbe un segno di rispetto oltre che un ottimo investimento economico, con ritorni abbastanza immediati, per i club. Quando lo capiranno.
La questione fondamentale è e resta, a monte, sempre quella culturale: la casta calcistica italiana si arroccherebbe, come ogni altra casta del nostro paese, a difesa dei propri piccoli e ingiustificati privilegi, anche di calendario? Probabilmente si, almeno all’inizio: ci conosciamo bene, come paese. Però, discorso che vale per mille altri ambiti, se davvero vogliamo gettare un ponte verso un futuro meno provinciale dobbiamo sforzarci di liberarci delle zavorre della nostra mentalità. Almeno cominciare a farlo. Altrimenti, a Santo Stefano continueremo ad ammirare i campioni e gli stadi degli altri e anche il trentuno di dicembre. Per il resto dell’anno, continueremo invece a dire “Piove, governo ladro…” magnificando come sempre la politica altrui.
Buon 2013 ai lettori di Gazzettagiallorossa.it
Paolo Marcacci 
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