GAZZETTA DELLO SPORT Tournèe Orlando: Abdullah, 27 ore in auto per vedere il Capitano

Totti in allenamento

Troppo tardi, pensa, mentre lo vede infilarsi nello spogliatoio a passo rapido.

Troppo tardi, dopo 20 anni di attesa e 27 ore di viaggio in automobile da Denver a Orlando (3 mila km), senza fermarsi neppure per dormire. Abdullah Aldugaim scorge Francesco Totti sparire e resta così, trafelato, con in mano il cellulare sul cui schermo c’è un’immagine che pare una reliquia profana, un passaporto scaduto per materializzare un sogno. È la foto della targa della sua auto coperta di neve (in Colorado l’inverno morde e non accarezza come in Florida) dove si legge chiaro: TOTTI. Un omaggio unico. A un passo da lui c’è una ragazza velata dalla testa ai piedi, solo gli occhi sono liberi benché protetti dalle lenti degli occhiali. È sua moglie, Byan Alayed, accompagnata dal fratello Sulamain. E adesso? A un passo c’è Vito Scala, il preparatore di Totti, a cui Abdullah farfuglia la sua storia. Scala sorride: «Vieni con me dentro, ma tua moglie non posso farla entrare».

COMMOSSO  Dieci minuti, poi il ragazzo esce barcollante, con in mano una maglia di Totti e la foto della Roma autografata. Ci abbraccia commosso. «Ho realizzato il sogno della mia vita e non so se piangere o cantare. Sono nato in Arabia Saudita, ho 26 anni e tra pochi mesi mi laureerò in Ingegneria elettronica a Denver. Da quando avevo 6 anni sono cresciuto di pari passo al talento e alla fama di Totti. Mi ha fatto innamorare del calcio, è il più grande. Gioco da centrocampista e ho imparato a calciare grazie ai suoi filmati. Ne ho decine: a cominciare dal cucchiaio all’Olanda. Li guardo sempre, lo chieda a mia moglie». Byan, biologa, sospira paziente dietro l’elegante velo decorato: «Lo ama quasi quanto me». Sulamain annuisce silenzioso, stringendo la sorella e il cognato. «È il momento più bello della mia vita — conclude Abdullah — mi dispiace solo di non ricordare neppure una parola di ciò che Totti mi ha detto, ero troppo emozionato. Ma mi basta averlo visto, averlo conosciuto». Ci saluta deferente e si avvia alle prossime 27 ore di viaggio verso Denver. Stavolta promette che proverà a dormire, ma guardandolo bene, non è affatto certo che ci riuscirà.

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