ORA D’ARIA Tra Perrotta e Superga

Ora d’aria di Paolo Marcacci

Lo striscione di Torino e il goal di Perrotta: due istantanee che si collocano agli antipodi l’una dell’altra, senza che vi sia il bisogno di spiegare perché. Il problema sta nel fatto che il calcio italiano sempre più  spesso si identifica con la prima immagine, invece che con la seconda. Ossia: lo striscione della curva Juventina, tra l’altro lunghissimo e di conseguenza passato al vaglio della censura (?) del personale addetto allo Juventus Stadium, dopo la riprovazione che ha suscitato e lo sdegno mediatico che va già assopendosi (complice il Giudice Sportivo che  ha sanzionato con soli diecimila Euro di multa), rientra nella casistica delle cose, riprovevoli, alle quali però noi che stabilmente frequentiamo il pallone nostrano siamo abituati; assuefatti senza però esserne mai stati vaccinati a dovere. Che poi faccia il giro del mondo ci importa pure poco: che siano gli altri ad indignarsi, pensino quello che vogliono oltrefrontiera; già non abbiamo voglia di impegnarci a recuperare quel po’ di dignità all’interno dei nostri confini, figuriamoci se ci interessa il giudizio altrui. “E poi anche gli altri hanno le loro magagne, non credere…” salterà su qualcuno a dire, ci scommettiamo. All’altro capo del ragionamento, Perrotta: il Campione del Mondo che sbuca da un tunnel di silenzio e professionalità, di cultura del lavoro e allergia alla polemica, si materializza al limite dell’area senese e torna a firmare un tabellino, allungando la striscia positiva della Roma, innescando un’esultanza ed un abbraccio che ci riportano all’epoca in cui almeno allo stadio ci si andava tutti, gente civile e delinquenti e la prima non tendeva a restare a casa con sempre maggiore frequenza. Si parla tanto di educazione, di formazione, si  interpellano  sociologi  e psicologi, esperti di costume ogni volta che il calcio da’ il peggio di sé. Poi tutto resta sulle pagine dei quotidiani e al caldo degli studi televisivi. Viene da chiedersi quanto più efficace sarebbe educare le nuove generazioni calcistiche, intese anche come tifosi e non solo come praticanti, mostrando nelle scuole il filmato del goal di Perrotta, il suo entusiasmo da ragazzino, la sua corsa a perdifiato sotto il settore ospiti. Sarebbe come dire a un ragazzino, magari già traviato da cori che inneggiano alla morte e che irridono il lutto altrui (quali che siano i colori): vedi quello lì? Si proprio quello, che ha ancora il fisico tirato come una corda di violino, perché si allena come a te già non va di fare: quello ha vinto i Mondiali, da titolare; ha giocato un sacco di partite in Champions, ha alzato coppe e vinto un sacco di derby…Oggi viene utilizzato poco ma lavora ancora di più, a testa bassa e senza dire una parola…Quello però è il calcio che, anche per colpa tua che  hai appena cominciato, sta scomparendo. I tuoi coetanei saranno sempre più bravi ad usare il pennarello per celebrare l’idiozia puntata verso gli altri e sempre meno disposti a fare i sacrifici che quelli come Simone Perrotta, che non ha avuto in dote piedi sopraffini, hanno fatto per scalare la Coppa del Mondo e ancora continuano a fare per essere decisivi a Siena, quando Zeman li chiama. Nell’attesa di ascoltare la risposta di questo ipotetico ragazzino, che magari abbiamo in casa, ringraziamo il Giudice Sportivo e cerchiamo di sovrapporre, sempre di più, la corsa di Perrotta sotto i suoi tifosi ai metri di stoffa che grondano merda.

Paolo Marcacci 
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