IL ROMANISTA Carboni, capitano anti Diavolo

As Roma Primavera

(V.Meta) – Quello che aveva di fronte ha due anni in meno e una presenza in Champions League, eppure nei centottanta minuti della sfida di Coppa Italia fra Roma e Milan di gol non ne ha segnato nemmeno uno e a festeggiare è stato ancora lui.

Fabrizio Carboni aveva già castigato il Diavolo nel 6-1 di un anno fa, si è concesso il bis nella lezione di calcio impartita alla squadra di Dolcetti il giorno della fine del mondo con il più classico degli inserimenti di testa su calcio di punizione, palla sul palo lontano e 2-0 buono per pareggiare il conto dell’andata, tanto a completare la rimonta ci avrebbe pensato Jacopo Ferri. Un capitano si vede soprattutto da queste cose e nessuno lo sa meglio di Carboni, ultimo dei galacticos ’93 a vestire ancora la maglia della Roma, rimasto a fare il fuori quota in Primavera nonostante in agosto le richieste non mancassero. Del gruppo che in tre anni ha vinto tutto fra Allievi e Primavera lui era uno dei più precoci, visto che a quattordici anni festeggiava il suo primo scudetto giocando sotto età le finali pugliesi con i ’92.

Nei Giovanissimi Nazionali era il più forte di tutti, poi gli altri sono cresciuti raggiungendolo in altezza e un po’ di fatica in più l’ha fatta. Non con gli Allievi, quando Stramaccioni gli consegnò a metà stagione la fascia di capitano facendone un inamovibile della sua difesa: chiedere agli attaccanti di Juve e Fiorentina, quei giorni a Montepulciano non sarebbe passato nemmeno un tir. Lo ha dato lui il primo bacio alla coppa scudetto, anche se poi i riflettori li ha lasciati agli altri, al capocannoniere Ciciretti e al giocoliere Caprari. Gli stessi che giusto un anno dopo avrebbero riportato a Trigoria un titolo Primavera che mancava da sei anni e se quella sera a Pistoia le foto con la coppa le ha lasciate agli altri, è solo perché quelli come lui o vincono da protagonisti o si fanno da parte e in quella cavalcata il suo ruolo era rimasto di secondo piano, chiuso da gerarchie difficili da scalare. Ma il ciclo vincente dei ’93 non si era ancora esaurito e nel secondo anno di Primavera sono arrivate una finale del Viareggio e una Coppa Italia nel giro di una settimana, anche se Fabrizio si è dovuto accontentare di soffrirle dalla panchina.

Mica come la Supercoppa Italiana strappata ai campioni d’Italia dell’Inter all’inizio di settembre in casa loro, che erano pure completi dei gioiellini Livaja e Benassi. Era l’unico trofeo che mancasse alla bacheca del settore giovanile della Roma e a portarcela non poteva che essere lui, nel frattempo promosso capitano. È per serate come quella che è valsa la pena restare rinunciando a seguire l’esempio del compagno di reparto Alessandro Orchi, che molto bene sta facendo a Catanzaro dopo due mesi passati fra panchina e tribuna. E anche per giornate da fine del mondo come quella di una settimana fa, quando serviva un’impresa per andare avanti e difendere la Coppa e impresa è stata, talmente bella da potergli far venire voglia di chiudere così l’avventura in primavera nel caso in cui a gennaio arrivasse qualche offerta. In fondo sarebbe da capitano anche questo.

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