REPUBBLICA.IT Dietro un giornalista c’è un tifoso?

Antonio Conte

(M. Crosetti) – A volte succede che la vera curva sia la tribuna, nel senso di tribuna stampa: non dovrebbe accadere, ma tant’è. Se tu non fossi stato tifoso da ragazzino, difficilmente avresti deciso di dedicarti poi al giornalismo sportivo perché, come il calcio, anche lo scrivere di sport nasce dalla passione e non è materiale freddo. Lo diventa, nel tempo, quando al tifo si sovrappone il mestiere (oppure il fantacalcio, ma quella è un’altra storia). Quando non succede, sono possibili pericolosi e antipatici cortocircuiti.

Il focoso Conte, ormai sempre più simile anche dal vivo all’imitazione di Crozza, il quale si rivolge alla sala stampa chiedendo chi sia quella m. che ha esultato dopo il gol del Chelsea, fa tornare in mente un’intera casistica. Nella quale, va detto, le m. sono pochissime ma i risentimenti milioni.

Il caso più famoso resta “la medaglietta di Magath”. Accadde che dopo la finale di Coppa dei Campioni persa dalla Juventus ad Atene nel 1983 contro ogni pronostico, un gruppetto di giornalisti non proprio filo-bianconeri pensasse di premiare l’autore della rete decisiva, cioè l’occhialuto Felix Magath, con una medaglia ricordo. La cerimonia ebbe luogo qualche tempo più tardi di fronte a un Magath invero assai sorpreso, probabilmente incapace di comprendere il senso dell’evento. Senso che non sfuggì a Boniperti: il presidente ci mise del tempo, usò tutte le sue doti di 007 e alla fine venne a capo di nomi e cognomi. Ogni colpevole fu scritto per sempre sulla lista nera. Oggi, con Facebook e Twitter, sarebbe stato molto più facile e rapido: infatti, i “reprobi” di Conte sono stati identificati nel giro di un paio d’ore.

Tra Juventus e Torino non mancano altri sapidi episodi, a volte è un’impersonificazione di ruoli da commedia dell’arte. Un grande giornalista come Gian Paolo Ormezzano gioca ad essere granata da sempre, dichiara di sognare il derby in serie B, e anche Massimo Gramellini ama calarsi in questa parte. Nessuno, però, si sognerebbe di chiamarli m., anche perché Gpo e Gramellini hanno stile e classe anche quando giocano.

Nella storia del giornalismo sportivo non mancano casi di firme illustri che hanno sempre saputo tenere separate passione (sportiva) e professione. Sandro Ciotti era laziale, come altre famose voci di “Tutto il calcio”, ad esempio Claudio Ferretti ed Ezio Luzzi, ma dalle loro radiocronache non si capiva di certo, e neppure si intuiva il cuore genoano diEnrico Ameri. E nessuno ha mai potuto rimproverare Roberto Beccantini di scarsa obiettività, pur essendo egli juventino nel profondo. All’epoca dello storico Novantesino Minuto condotto da Paolo Valenti (amava la Fiorentina) e Maurizio Barendson (lui era del Napoli), molti corrispondenti non nascondevano le loro passioni, dal napoletano Luigi Necco all’ascolano Tonino Carino, però sempre con eleganza: nessuno di loro avrebbe mai esultato contro qualcuno. E non si dimentichi che oggi va di moda la telecronaca del “giornalista tifoso” come opzione per il telespettatore: in parte è un gioco, in parte se ne potrebbe discutere, quando il telecronista è anche un cronista.[…]

Un luogo di grande, consueto tifo è la tribuna stampa dell’Olimpico, dove sovente accade di vedere colleghi che esultano per un gol della Roma o della Lazio. Scena che si ripete peraltro in molte città, specialmente di provincia, dove i destini della squadra e il tifo interessato di alcuni giornalisti si intrecciano: perché se la squadra va bene, gira l’Europa, ha visibilità, in qualche modo ci guadagnano pure loro. La gazzarra nella sala-stampa di Catania controAngelo Alessio dopo la farsa arbitrale del fuorigioco fantasma, da parte di alcuni cronisti locali (poi si sono scusati), fa parte di questa casistica.

Può dunque accadere che il tifo sia un sentimento guidato dall’interesse: le intercettazioni di Calciopoli l’hanno dimostrato, smascherando certi giornalisti assai compiacenti con Moggi e non certo perché da bambini tifassero Juve. Questo ha abituato alcuni club e alcuni allenatori a pensare che i giornalisti siano nemici se solo non tifano per la loro squadra: perché mai?


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