GAZZETTA GIALLOROSSA Zemanlandia, un’utopia dannatamente affascinante

Zdenek Zeman

Crisi di risultati, gioco latitante, scarsa intensità. Sembra l’antitesi di Zemanlandia questa Roma, ed il tecnico boemo giunto tra il grande entusiasmo della folla, dopo il flop Luis Enrique, a distanza di poco più di 5 mesi viene messo in discussione proprio dalla “piazza romana”, che lo aveva fortemente voluto,  “svuotata” dagli avvilenti risultati della scorsa stagione, fino al punto di  preferire – alla ricerca di un calcio alternativo rispetto a quegli schemi convenzionali, tanto proficui in Italia quanto ridicolizzati in Europa – la cosiddetta “normalità”. La stessa poco spettacolare normalità, fornita da Ranieri in due anni e ripudiata a gran voce, nonostante i buoni risultati che aveva rischiato di propiziare la gestione controversa del tecnico romanista, al quale veniva rimproverata una preparazione atletica inefficace, per non dire inesistente, ed allenamenti troppo brevi, auspicando una dimensione nuova, improntata sul lavoro e su di un calcio atto ad offendere piuttosto che ad esprimersi, in maniera non sempre efficace, cercando di concretizzare gli spunti personali. Sulla falsa riga di quanto proposto in passato da Zeman che non ha caso è stato scelto per inseguire un modello di gioco tanto affascinante quanto di difficile messa in pratica. Un’ utopia che affascina, esalta, frustra e divide. Un mantra che nutre ma allo stesso tempo distrugge .

OLTRE IL RISULTATO – Provando a squarciare il velo di Maya dei risultati, per la verità deludenti, e provando a vedere oltre, come farebbe Schopenauer, balzano alla mente alcune considerazioni, evidenziate dai dati di fatto: Mister Zeman paga in modo lapalissiano il credito di fiducia operato dalla società e anche da gran parte dell’ambiente, nei confronti del suo predecessore asturiano. Infatti La Roma zemaniana, in 10 partite ha raccolto la miseria di 14 punti, gli stessi che aveva Luis Enrique lo scorso anno dopo 10 gare. Identica é anche la differenza reti, zero, frutto di 19 gol fatti e 19 subiti nell’anno in corso, in confronto ai 14 messi a segni ed altrettanti incassati la scorsa stagione a questo punto. E’ pur vero che vi è la partita vinta a tavolino che incide su questa statistica, ma in nella parità, se non altro, in rapporto alla passata stagione, la squadra pur palesando gli stessi squilibri e limiti strutturali, oltre che tecnici in determinate porzioni di campo, prima di perdere gran parte delle gare, eccezion fatta per Torino dove la Roma non è pervenuta sul manto erboso, ha avuto modo di poterle vincere, sciupando diverse palle gol, vedi le tre occasioni divorate da Osvaldo contro l’Udinese. Magra consolazione che non giustifica l’alternanza di risultati, e la metodologia stucchevole ed ineluttabile con la quale avvengono i rovesci da parte delle altre squadre, ma quanto meno evidenzia la volontà ,seppur tra molte difficoltà, di cercare di esprimersi sui livelli richiesti dall’allenatore, per un lasso di tempo troppo limitato per essere soddisfacente, riuscendo anche a fare cose molto apprezzabili rispetto al piattume offerto dalla gestione Luis Enrique, dando quindi l’impressione di essere viva. Tutte qualità vanificate dai risultati negativi, pesanti, che mostrano severamente i limiti di una squadra dannatamente incompleta, ancora alla ricerca di un’ identità, condannata a profondere intensità di gioco per 90’ minuti e sfruttare al meglio ogni occasione poiché in caso contrario la vittoria diventa irraggiungibile. Questo è forse il più grande difetto di questa giovane formazione, il non saper gestire le fasi del match denotando l’assenza di una tenuta mentale ancor prima che atletica risultante dal comportamento della squadra quando questa è in affanno, finendo per prodursi in una resistenza passiva agli attacchi avversari che spesso, finiscono con la rete degli stessi. Il problema della friabilità difensiva esiste e va certamente risolto, però come sottolineato ieri da Donadoni nella piscina del Tardini, al di là del tasso tecnico certe partite non le vinci se non metti in campo quel qualcosa in più, attributi, come cattiveria, determinazione, abnegazione e costanza, malizia, personalità.  Qualità che questa Roma fatica ad esprimere, tanto da far pensare ai più di non possedere un’anima, uno spirito collettivo, figurando molto spesso come smarrita o abbattuta dopo il gol subito, nonostante magari un buon vantaggio accumulato. Aspetto ,questo,che può essere ritenuto assai più grave anche dei risultati negativi, sui quali pesano per onestà intellettuale, tanti, troppi, svarioni arbitrali, determinanti in un contesto dagli equilibri estremamente labili, finendo per accentuare tutti i difetti della squadra, incidendo poi sulla prestazione, giudicata proprio in base ai numeri, allarmanti, di questo inizio di stagione.

LAMELA – La politica seguita dalla società è ben delineata verso la costruzione tecnica di una squadra talentuosa e di prospettiva, che possa essere futuribile nel tempo avendo considerevoli margini di miglioramento. Soprassedendo sulle responsabilità dei massimi dirigenti in alcune scelte poco coerenti con il progetto, va dato atto fin ora a Zeman di esser riuscito a valorizzare un ragazzo dall’elevato tasso tecnico, un po anarchico in mezzo al campo, collocandolo e riscoprendolo in una posizione nella quale si sta dimostrando giocatore fondamentale. Il chiaro riferimento è ad Erik Lamela, investimento principale della nuova società, che si era espresso a corrente alternata la passata stagione, non riuscendo a trovare la propria dimensione in campo. Ebbene i risultati ottenuti da Zeman sono inoppugnabili : La metamorfosi di Lamela – facente parte di un nidiata di trequartisti argentini,destinati per gran parte a restare nell’anonimato a dispetto delle qualità tecniche a causa di un calcio il cui evolversi sta progressivamente cancellando il ruolo di fantasista in favore di meccanismi più concreti, in cui molto spesso ragazzi di grande talento finiscono per vedersi ingabbiati e depotenzianti – grazie alle attenzioni di Zeman che gli ha trovato la giusta collocazione in campo, esterno destro d’attacco, è presa di coscienza dell’attitudine del tecnico a saper lavorare bene con i giovani, determinando le loro sorti tanto che il ragazzo si  sta rivelando l’elemento più producente della Roma sotto porta. Proprio lui che non sembrava avere nelle corde la continuità realizzativa, ad oggi è il capocannoniere della Roma con 6 reti in nove partite. Ad inizio stagione Il boemo aveva espresso in conferenza stampa la sua insoddisfazione per lo stile di gioco dell’acerbo ragazzo, al quale veniva rimproverato (ugualmente a Nico Lopez) di giocare troppo spalle alle porta. Attraverso il lavoro e l’applicazione, le qualità dell’argentino stanno emergendo in maniera evidente; partendo largo da destra elude la marcatura, e soprattutto aggredisce frontalmente la porta, condicio sine qua non per essere pericolosi nel gioco d’ attacco, favorendo il suo sinistro a girare, letale per i portieri avversari. La valorizzazione di questo fondamentale patrimonio della società è quindi ascrivibile a Zeman, un risultato di non poco conto per il destino del progetto tecnico della società capitolina, primo frutto di un alacre lavoro di appena 5 mesi, non escludendo pertanto, la metabolizzazione più lenta da parte di altri elementi in rosa dei concetti di gioco dell’allenatore che, se recepiti nella giusta maniera, come dimostra Erik Lamela, permettono ad un calciatore di operare il cosiddetto salto di qualità.

Proprio la valorizzazione dei giovani talenti, dovrebbe essere il punto da cui ripartire in un contesto di grande difficoltà e costituire il credito che all’allenatore si deve dare, anche in virtù delle parole pronunciate dal capitano Francesco Totti il quale ha ammesso, facendo il paio con le dichiarazioni di Florenzi di qualche tempo fa, le difficoltà della squadra nel riuscire ad esprimere sul campo le idee di Zeman, sostenendo di riuscirci per appena il 50%;  troppo poco per poter risultare decisivo ai fini del risultato. Le parole di Totti assumono connotati significativi, considerando il passato del capitano, che ha avuto modo di conoscere lo stile di gioco del suo allenatore, avendo ben chiare le idee riguardo lo sviluppo e lo svolgimento della manovra, ad oggi corrispondente in minima parte al dogma Zemaniano. Valorizzare un collettivo giovane è opera di fiducia, pazienza e lavoro. Se l’auspicato ritorno di una banale normalità deve produrre un sesto posto, tanto vale rischiare di buttare un’annata rincorrendo, forse, una chimera con una guida tecnica che incarna gli ideali del tifoso romanista e magari aspettare lo stesso tempo che si è atteso, prima di bocciare definitivamente Luis Enrique. Del resto  il Borussia Dortmund ha costruito le proprie fortune non fermandosi ai primi fallimenti ma decidendo di credere fermamente in un qualcosa di diverso, di poco convenzionale che alla fine ha ripagato la piazza e la dirigenza degli sforzi sostenuti, finendo per divenire un modello di successo alternativo a quello del Barcellona.

 

A cura di Danilo Sancamillo

 

 


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