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DOPO PARTITA La lettura dell’incontro di Paolo Marcacci

Pjanic esulta dopo il gol

C’è molta più densità nella metà campo del Torino che nel flusso di macchine che intorno alle 19 pigramente comincia a dirigersi verso l’Olimpico. Basterebbe questo confronto a far capire il tasso di disamore e disillusione dell’attesa e le difficoltà del mentre; contro la troupe di Ventura, la cui mano esperta disegna scene di senso logico da ogni rinvio di Gillet in poi. L’Olimpico rimbomba di mezzi vuoti e d’impazienza che cresce, con la prima eco dei fischi che sibilano alla fine del primo tempo, percepibili quanto l’umidità di uno zero a zero momentaneo che fa tanto Tevere e tanto poco Zeman, come dall’inizio di questa stagione ancora da decifrare.

Quando le due manovre sembrano speculari nell’impattare l’una contro l’altra e quando a sorpresa Destro rileva Totti, l’unico fino a quel momento in grado di fare la barba al risultato con un paio di conclusioni di destro dopo dribbling sullo stesso lato, un Calvarese che non t’aspetti è bravo ad individuare il danno procurato su Marquinho, subentrato a un Florenzi rosso di fatica e d’inconcludenza, un po’ come tutta la Roma fino a quel momento: arriva dalla linea di fondo l’indicazione del dischetto, senza il Dieci in campo e con un Osvaldo a metà che si guadagna il centro della scena. E’ una traiettoria alla Romario, dopo una fermatina che pare un mezzo inchino di scuse sotto la Sud, quella che disegna lentamente l’uno a zero, nel momento in cui la partita entra nella menopausa degli ultimi venti e in cui Ventura impreca, troppo platealmente, su fischietti e lancette che cominciano a scandire una condanna.  La Roma conta qualche chance di poterla chiudere, a quel punto, anche se alla cattiveria necessaria manca sempre il soldino per fare la classica lira; al minuto ottantasei una percussione centrale di Pjanic, venuto acquisendo lucidità soltanto nell’ultima parte, con qualche spazio ricavato a fatica, porta il numero quindici a scoccare la scintilla che carambola su Gazzi e punisce Gillet per la seconda volta, con le speranze granata che sfumano assieme all’imbattibilità esterna. Si gira il pallone per attendere la fine e festeggiare i tre punti che alleggeriscono l’attesa dei tre punti di Cagliari, se confermati come logica vorrebbe.   Due a zero, vale a dire un risultato che poco ha di zemaniano, nella partita meno zemaniana di questa stagione di montagne russe, che necessitano di ben altre conferme per farci dire che siano terminate.  Però l’essenziale è arrivato, nella serata che presentava ostacoli e insidie, senza correre troppi rischi e con un ventaglio di occasioni che potevano anche generare un tabellino più rotondo. Da una Roma convalescente non ci si poteva aspettare che strappasse pure un sorriso a trentadue denti; le vitamine arrivano dalle conferme di Marquinhos e dall’inusuale zero nella casella dei goal incassati. E’ soprattutto dall’acquisizione di fiducia che si trova la forza per risalire la china, a patto però di trovare al più presto un’identità definitiva, finora soltanto abbozzata in pochi momenti di partita.
Paolo Marcacci
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