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LA REPUBBLICA Scossa Roma, Zeman punisce De Rossi

Zeman e De Rossi

(E. Sisti) – Oltre la cortina di ferro delle malinconie più inattese, delle speranze disilluse, degli incerti risultati e del fumo delle sigarette che Zeman (almeno in pubblico) non fuma più, la sigla dominante è uno storico acronimo: DDR. Daniele De Rossi. Felicità, talento, classe. Una volta solo prospettive, adesso solo imbarazzo. Ieri DDR non era in campo, punito da Zeman perché «lui e Osvaldo devono pensare alla squadra anziché ai fatti loro. Osvaldo per talento è secondo solo a Totti, De Rossi non lo scopro io. Ma devono farmi capire che vogliono ancora dimostrare qualcosa». Dalla prima concreta mossa zemaniana della stagione, avvenuta curiosamente fuori dal campo, nasce Capitan Senza Futuro, l’uomo chiave che non apre più nessuna porta. Da tempo Daniele non è più lui. Da tempo conduce un’esistenza agonisticamente contraddittoria. Ha il cuore in mano e la testa altrove. E’ un simbolo nervoso, angosciato, raramente sorridente. Ma soprattutto non è più l’uomo ovunque, l’universale, il quarto o il quinto uomo d’ogni reparto che era prima della grande crisi, una rispettabilissima crisi privata dalla quale però è come se Daniele non si fosse mai liberato del tutto.

Lo scorso anno la storia mai chiarita del ritardo che spinse Luis Enrique a metterlo fuori squadra a Bergamo. Quest’anno le turbolenze estive culminate con la soap del suo restare a Roma o meno. Era quasi venduto (al City per 25 mln). Alla fine ha allungato il contratto irrobustendolo con frasi d’amore. Alcune indirizzate al mittente sbagliato: «A me Montella piaceva… ». Opinioni. Ma perché dirlo?

Dopo la figuraccia contro la Juve, dov’era stato fra i peggiori, disse: «Chi parla di Roma da scudetto fa male alla società e all’ambiente». Zeman s’era appena sbilanciato all’opposto. Nell’intervallo pare che si sia tolto la maglia sbattendola ai piedi del tecnico. Ad assecondarlo in questa irragionevole guerra intestina lo sdegnoso Osvaldo e il mite ma limitato Burdisso che ha sempre nutrito dubbi sulla difesa alta (quindi su Zeman). In settimana Daniele avrebbe criticato la doppia seduta d’allenamento. L’italo-argentino avrebbe mostrato indolenza. Anche i sassi lo sanno: se non corri in settimana la domenica rantoli. Il tutto condito dalla fragile consistenza di una società cambiata eppure sempre misteriosamente uguale a se stessa, il cui padrone lontano (ieri è stato l’ultimo giorno di Pallotta a Roma) non s’è mai capito se sia davvero così attratto dall’oneroso giocattolo (che a tratti sembra che gli sia caduto in testa da una mensola dimenticata). Zeman ha dunque fatto lo Zeman. S’è affidato ai sacri concetti di sacrificio e sofferenza e ha spedito i tre scocciati in panchina (aveva già deciso giovedì ma loro non lo sapevano). La Roma che ha battuto 2-0 l’Atalanta sfatando il tabù dell’Olimpico gli ha dato ragione.

L’esempio sono stati Lamela (in gol dopo un assistcucchiaio del capitano) e Totti stesso. Bradley ha raddoppiato nella ripresa. La Roma non sarà stata strabiliante ma meno distratta sì. Ha rischiato solo nella prima mezzora (traversa di Moralez). E tutti, in una quasi totale anarchia tattica (che Zeman non è ancora riuscito ad arginare), hanno corso per novanta minuti. Alla faccia di chi mugugna.


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