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IL ROMANISTA La ricostruzione di un amore

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(T.Cagnucci) Ok, prima bisogna scrivere della partita: analisi di Roma-Atalanta 2-0, 7 ottobre 2012, VII giornata di campionato. Svolgimento: è evidente che la Roma nella prima mezz’ora giocata male era bloccata dalla paura, da tutti i fantasmi possibili che si porta dietro un po’ da sempre e un po’ dall’anno scorso, e che dopo il solito tocco cieco (per gli altri) che squaderna orizzonti e apre mondi possibili di Totti Lamela, ha cominciato a giocare e a vincere. Il nodo filosofico della gara è questo: passata la paura, si passa. Il problema è che questa squadra è bloccata e ancora non riesce a volare nemmeno con un allenatore che gioca un calcio al volo. Altre considerazioni: una Roma così e così è comunque quinta, torna a vincere in casa dopo sei mesi, per la prima volta non prende gol e in panchina si tiene gente come Burdisso, De Rossi, Osvaldo(Pjanic infortunato). Si può mettere anche così. C’è la questione De Rossi, e c’è anche quella Osvaldo. Entrambe fanno pensare un po’ a Luis Enrique: De Rossi proprio con l’Atalanta non giocò(ormai è un classico) per un ritardo; Osvaldo non giocò a Firenze per il comportamento nello spogliatoio di Udine. Punizioni. Ieri più o meno è stata la stessa cosa visto che non hanno giocato «perché non si sono impegnati durante la settimana».

Sarebbe curioso vedere se chi criticò Luis Enrique farà la stessa cosa con Zeman, che sicuramente ha fatto la scelta migliore per la squadra dal suo punto di vista. Invece è già curioso vedere come tutti quei critici di De Rossi, quelli che da due anni lo massacrano, quelli per cui era già del City ma anche del Real e del Foggia, quelli che lo considerano un giocatore normale, da ieri si sono affrettati a sottolineare la questione, il caso, la spinosa gestione. Ora, De Rossi non è un giocatore normale ma il più forte centrocampista che c’è, e Zeman lo sa, anche ieri – e ieri l’altro – non lo ha nascosto. La sua buonafede sta – oltre che negli occhi – anche nella stessa gestione di Osvaldo, il giocatore che ritiene più forte dopo Totti, «una bestia», ma se non lo considera pronto non gioca. E’ la normalità, bellezza. Anche qui il parallelismo con Luis Enrique è forte visto che Osvaldo era il pupillo dell’asturiano. De Rossi poi non è solo un giocatore normale perché è fortissimo, ma perché incarna i valori della Roma, è con quelli che è diventato una bandiera: sicuramente non è contento di quello che è successo, ma proprio perché è diventato grande per il rispetto verso se stesso, i compagni e i colori, sarà il primo a comprendere, anzi a pretendere, di non avere il posto assegnato per diritto naturale. L’anno scorso dopo Bergamo quando parlò bene di Luis Enrique fece la solita ennesima enorme cosa romanista come soltanto lui sa fare. Per il resto è evidente che Zeman sta costruendo la sua squadra (ed è evidente che questo modo di gestire i più forti sia per farli fortissimi) e che si assume tutte le responsabilità possibili. Questo non è solo un bene, ma un valore nel mondo del calcio e in questo mondo in generale. Fine dello svolgimento.

Perché poi c’è la Roma. C’è quello che conta. Perché per chi è tifoso della Roma, Roma-Atalanta 2-0 ieri è stata solo Roma-Atalanta, il 7 ottobre 2012 è diventato un giorno dei nostri cuori. D’altronde è meglio così, è meglio che si debba scrivere dei tre punti, dei casi veri o presunti, degli assist e dei tocchi, perché come fai a scrivere che ieri all’OlimpicoFalcao ha raccolto la sciarpa della Roma sotto la Sud, con vicino Aldair che piangeva, mentre Rocca correva verso la gente, la gente della Roma, tenendosi il cuore in un pugno,Pruzzo aveva i lucciconi dentro quegli occhi pudici perché arrivano da Genova ma che amano perdutamente Roma? Come fai a descrivere la sobria elegante nordica eppure nostra compostezza di Losi, vederlo accanto al caschetto bruno di Bruno Conti che ragazzino era sotto quella Curva e sotto quella Curva era ragazzino ancora ieri e ci resterà sempre? Come fai a scrivere che loro stavano sotto la Sud. Da soli con la Curva Sud. Si sono girati, ci hanno fatto l’amore, si sono guardati, specchiati. Come fai a trovare le parole quando Franco Tancredi ha preso la bandiera col volto di Agostino Di Bartolomei e l’ha sventolata al cielo, a Dio, ai suoi ricordi e ai nostri occhi che l’hanno vissuto e che non lo rivedranno?

Le mani di Tancredi non hanno mai portato così in alto la Roma. E Falcao quando ha preso sottobraccio la signora Marisa indicandole che quella bandiera stava per diventare sua, Falcao, che ha insegnato a questa città come muoversi in campo e nella vita, un’azione così bella non l’ha mai costruita. Avevano, avevamo tutti gli occhi troppo belli per non piangere. Perché tutti i sogni di bambino erano veri, perché tutto quello che ci siamo detti di notte e tenuti dentro coltivandolo in questi anni non è svanito, né si è perso, ma è cresciuto. Che siamo stati fortunati. Che dentro ormai ci siamo dati un appuntamento senza dirci niente in ogni occasione e in ogni luogo in cui si potrà rivivere quell’emozione che Dio o chi per lui un giorno ha chiamato Roma. Che ci saremo sempre. Che ci sarà sempre anche chi ieri non c’era, ma che come ieri non è mai stato così presente. Come quel Capitano di una Roma che ci ha insegnato a dire ti amo.


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