IL ROMANISTA Il piede di Totti mi inorgoglisce

Totti

(G.Manfridi) – Come un pokerista frustrato, dopo la partita con la Juve ho detto: “Passo!”, e non sono riuscito a scrivere nulla. Ci ho provato. Tutto tempo perso. Qualche riga e cancellavo. Il pezzo trovava un principio ma non prosecuzione. Il più che ne veniva, un lamento monocorde insufficiente a sviluppare un discorso.  Ogni tentativo di comprendere lo scempio consumato in campo si disintegrava dinanzi all’immagine del Boemo e del Capitano irrisi dalle turbe juventine e fotografati senza pietà nello sconcerto che li impietriva. […] Ma il procedere naturale dei giorni ha infine riportato una quota minima di vitalità nel quotidiano, sino a ricordarmi che prima o poi sarebbe arrivata la domenica successiva; che prima o poi si sarebbe giocata un’altra partita; che prima o poi sarebbe scoccato l’attimo di un nuovo fischio d’inizio, quello di Roma-Atalanta, che a non vincerla, dopo la cinquina rimediata in casa dai bergamaschi contro il Torino, avrebbe significato un monumento al peggio, la resa senza condizioni, il fallimento assoluto di un  progetto fatto di progetti. […] Tre minuti di Roma quasi zemaniana, poi, sino alla mezz’ora, un’Atalanta sbalorditiva per la sua capacità di far gioco ma, buon per noi, ancor di più per la sua inettitudine a concretizzarlo; il che ci ha evitato un doppio o triplo svantaggio in apertura che avrebbe apparentato questa partita a quella scellerata e senza onore di una settimana prima. Tranne che in questo caso nemmeno avrebbe retto il pallido alibi di un avversario più forte sulla carta. E in più con l’aggravante del fattore campo a nostro favore. […] A quel punto è come se una parte di me si fosse sentita nei panni di Will Coyote sospeso sul vuoto mentre si accorge del terreno che gli manca sotto i piedi. E non è che il due a zero finale abbia saputo rimettere le cose completamente a posto. Tutt’altro. Qualcosa di assurdo ci sta permeando come una sostanza tossica, e non capiamo. Non capiamo, ad esempio, come De Rossi possa essere ritenuto, o diventato, meno affidabile di Tachtsidis, laddove il greco, in questi primi turni, tutto ha fatto tranne che impressionare. Non capiamo quale sia la reale considerazione che l’allenatore ha di Osvaldo, uno che invece quando è stato impiegato ha sempre risposto bene. Non capiamo cosa sia giusto aspettarci nel futuro o cosa pretendere nel presente da Destro. […] Innanzitutto, il talento cristallino di Lamela. Poi, la conferma che Stekelenburg, autore di un intervento decisivo sullo zero e zero e di altre cose ancora, è il portiere che conoscevamo, e non quello che ci ha tolto punti col Bologna e che a Torino non ha avuto modo di riscattarsi. La mia ammirazione per l’olandese l’ho dichiarata più volte e oggi la ribadisco. Non dubito che a sconquasso generale placato, avremo di che inorgoglirci del nostro numero uno. Parlare di orgoglio e parlare di Totti è infine un tutt’uno. La partita con l’Atalanta ha trovato incarnazione in lui, che si è fatto carico di ogni ansia, individuale e collettiva, interpretando la necessità di questa vittoria come un fatto vitale, al pari di quando Pruzzo, in anticipo su Osti a pochi minuti dalla fine, molti anni orsono, segnò il gol del pareggio che ci salvò dalla B a culmine di una stagione sciagurata. Sempre all’Olimpico e sempre contro l’Atalanta. Poche stagioni appresso, dalla sua testa e dai suoi piedi vennero i gol del nostro secondo scudetto. Noi domenica non dovevamo salvarci dalla B, ma la posta in gioco era comunque alta, tanto da far dire allo stesso Zeman che, per una volta, il risultato deve valere più del giudizio sulla squadra. Una deroga da sé quasi impensabile e che sottoscrivo in pieno.

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