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IL ROMANISTA Iniziò a Licata, contro la mafia

Zdenek Zeman

(M.Izzi) – Quando Zeman ha iniziato ad essere scomodo il calcio italiano con la “c” maiuscola non sapeva neanche che esistesse. Allenando in Sicilia era infastidito da tutti quelli che, non appena passato lo stretto, appellavano la sua squadra e i suoi ragazzi dandogli dei “Mafiosi”. Lui osservava: «La Mafia è un’associazione a delinquere, violenta e io la condanno come tutto ciò che è violento. Così ho fatto come gli altri. Ma cosa cambia? A parole sono tutti contro la mafia, intanto sono passati 22 anni per prendere un latitante a Palermo». Per il calcio che conta, però, iniziò tutto il 13 agosto 1998, con un’ intervista di Gianni Perrelli (“Anche il calcio ha il mal di tour”). Mentre la Roma prepara il secondo anno sotto la sua guida tecnica, Zeman squarcia un velo di reticenze, opportunismo e generico tirare a campare con un intervento che non è solo “contro il doping”, ma che palesemente sollevava degli interrogativi concreti sui potenti del calcio dell’epoca. Gli viene ad esempio chiesto: «Non può negare di aver manifestato a più riprese sorpresa per le esplosioni muscolari di alcuni giocatori della Juve». La riposta fu la seguente: «E’ uno sbalordimento che comincia con Gianluca Vialli. E arriva sino ad Alessandro Del Piero. Io che ho praticato diversi sport pensavo che certi risultati si potessero ottenere solo con il culturismo, dopo anni e anni di lavoro specifico. Sono convinto che il calcio sia tutto un altro tipo di attività. Almeno il mio calcio, che in una sola parola definirei positivo».

Ecco dunque l’ inizio della guerra, non per un’intervista contro il doping, di quelle ce n’erano state a migliaia e rilasciate da esponenti di tutti gli sport e anche da rappresentanti di punta del mondo della medicina sportiva. L’intervista di Zeman era contro un sistema di potere. Non stupisce qualche tempo dopo la confidenza raccolta da Carlo Petrini dalle labbra di Luciano Moggi: «Se Sensi caccia Zeman, stai tranquillo che quello non allena più in Italia». Zeman diventa da allora il punto di riferimento di tutti coloro che desiderano ascoltare una voce fuori dal coro del vecchio adagio: “Ottimo e abbondante”. Come già detto, però, i concetti espressi nel 1998, Zeman li aveva estrinsecati anche prima. Un esempio? L’intervento sulle pagine de “Il Podio”, rivista di “cultura sportiva” del CONI. Era l’estate del 1997 e questo era il suo pensiero: «Certo il calcio è diventato un lavoro, ma se dimentica d’essere un gioco, se dimentica che il suo scopo è anche quello di divertire, non avrà molti margini di sopravvivenza (…) l’ essere anche sport impone obbligo di lealtà e di rispetto delle regole». Tutti preferirono non capire e l’intervista rilasciata “in esclusiva”, sparì senza far rumore.

Il boemo è cosciente, di essere considerato il “grillo parlante del calcio italiano”, ma non è un ruolo che ha ricercato, tanto che quando nel luglio 2002 viene intervistato da Daniele Lo Monaco per il mensile Rosso & Giallo, il Mister accoglie così il giornalista: «Perché vi aspettate solo da me le rivelazioni? Quello che so io lo sanno tutti, anche Trapattoni o Capello. Solo da me volete la verità?». In quella stessa intervista, a quattro anni dal “J’accuse” sulle commistioni tra calcio e finanza, Zeman lamenta anche che aver parlato: «Non è servito a molto (…) Il CIO mi ha anche assegnato il premio Fair Play. Perché in Italia non se n’è parlato? Forse non faceva comodo». Il club, molto ristretto di coloro che “parlano”, fortunatamente conta anche su Francesco Totti, quando gli chiedono se Zeman sia stato “bastonato”, per le sue dichiarazioni risponde con un’onestà amara e lacerante, che a sua volta sa di denuncia: «Era inevitabile». Zeman, intanto, dice la sua sulla Juventus e le farmacie: «La Juve dice che ha vinto, ma per me ha perso. Se un medico è condannato per frode sportiva e doping, è una cosa triste per il calcio e per la società in questione». Nel 2005 anche Lippi, all’epoca CT della Nazionale dice la sua: «A Zeman dico che non è giusto criticare un sistema e continuare a farne parte». Lui, serafico, dà una risposta che potrebbe valere anche oggi:

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