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IL MESSAGGERO Zeman a due facce

Zeman

(U.Trani) – Il dibattito, e non può essere altrimenti, ruota solo attorno a lui. Una persona e non una squadra. Un allenatore e non uno o più giocatori. Zdenek Zeman e non la Roma. Per riproporre un film già visto, non solo dai tifosi giallorossi, e che rivedremo ancora. Su questo nessuno ha dubbi. Anche se il ribaltone di domenica pomeriggio ha avuto un effetto devastante negli umori della piazza che parlerà tanto, pure nei prossimi giorni, di una partita con uno scorrimento senza un perché. Con il boemo in panchina sarà spesso così. Nel bene e nel male. Con gli schieramenti compatti, i pro e i contro. Perché il tecnico di Praga resta sempre lo stesso. Per sua ammissione e per quello che genera con la sua idea di calcio dentro e fuori del campo.

«Che cosa c’entra l’allenatore con questa sconfitta?». L’interrogativo, a difesa di Zdenek, è anche il tema del vertice a Trigoria, ieri mattina, tra Franco Baldini, Claudio Fenucci e Walter Sabatini. Quest’ultimo, il ds che più di ogni altro lo ha voluto riportare a Trigoria e con il quale il boemo si confronta quotidianamente sui singoli e sulla rosa (e sul mercato, sui giocatori da prendere o da cedere), già lo aveva sollevato da ogni responsabilità in pubblico nel dopo partita. I dirigenti giallorossi, non avendo come obiettivo lo scudetto, non sono preoccupati. Delusi, ovviamente, sì. La rimonta inaspettata del Bologna gli offre però più di uno spunto su cui discutere: i peccati individuali, il crollo psicologico o fisico, il valore di alcuni interpreti e l’atteggiamento tattico.
Senza drammatizzare, comunque. Perché prendono atto di come il gruppo segua il tecnico, di settanta minuti in cui solo la Roma ha avuto la possibilità di far gol, con tre chance per il tre a zero create anche nella ripresa in cui la flessione, nel ritmo e nell’aggressività, è stata evidente. In più sta bene alla società che nessuno abbia fatto ricorso ad alibi di comodo: le assenze di De Rossi e Osvaldo e la disastrosa gestione dei cartellini dell’arbitro Guida (compresa la mancata espulsione di Perez al trentunesimo del primo tempo).
La prima sconfitta della Roma in campionato è zemaniana nel risultato. Non per la prestazione o per come è maturata. Per rendersene conto basta una frase del boemo che chiarisce proprio questo aspetto: «Si dice che difendo troppo alto, magari se facevamo così non finiva tre a due per il Bologna. Abbiamo deciso, seguendo l’esperienza dei calciatori, di tirarci più indietro e di allungarci. Si vede che non ce lo possiamo permettere». Quasi una mezza accusa alla squadra. Perché non lo ha ascoltato fino in fondo. Oppure a se stesso che non è riuscito a imporsi. Di sicuro Burdisso e Castan erano tanto distanti in campo da Destro, almeno nel secondo tempo. Il calcio di Zdenek spesso è stato definito scellerato. Perché produceva risultati capovolti: la squadra del boemo gioca e dà spettacolo, l’avversaria alla fine vince in contropiede. I tre gol del Bologna, arrivati a difesa schierata, dimostrano che stavolta la sua impronta non ha influito.
Anche per questo Zeman ha dato l’impressione di aver preso malissimo la prima sconfitta. Mortificato. Così si è presentato, a fine partita, davanti a Sabatini. Insieme, a caldo nella pancia dell’Olimpico, hanno preso di petto la situazione, analizzando pregi e difetti. La conclusione di Zdenek, simile a quella offerta davanti alle telecamere, è semplice: «Pensavano, dopo un tempo, di aver vinto. Si sono accontentati». Nessun crollo fisico, ma black out psicologico. Disconnessione dal match. Senza intensità e pressing non si vince, almeno per il boemo. Non devono mancare mai nei novanta minuti. In più hanno pesato, e tantissimo, gli errori individuali.
Non le sostituzioni, a quanto pare. E’ vero che, entrati sul 2 a 0 rispettivamente al posto di Pjanic e Lamela (grandi colpi di mercato della stagione scorsa), Marquinho e Lopez non hanno collaborato per mettere in cassaforte il risultato, l’impressione è che nessuno avrebbe potuto far meglio. Perché è la Roma che ha staccato la spina nel secondo tempo: riaccendere la squadra è compito di undici e non di due. Tra l’altro fondamentali, proprio i due, partendo dalla panchina nelle partite precedenti: il brasiliano a Milano contro l’Inter, l’uruguaiano all’Olimpico contro il Catania.
Zeman ha fretta. Quella che non gli mette il club giallorosso. Vorrebbe vedere più profondità e più incroci. Il baricentro sempre e comunque alto. Non per un tempo. Per due. Non ha dubbi sui singoli, anche se magari qualcuno non è ancora pronto per intraprendere un percorso tanto spregiudicato e per certi versi complesso. Ma avrebbe voluto già rivedere Zemanlandia. Con gli eccessi, i peccati e le emozioni di sempre. Per divertire se stesso e i tifosi della Roma, non gli avversari. Come è successo domenica. Come potrà accadere ancora.
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