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CORRIERE DELLO SPORT Giorgio Rossi: “Roma mia, stasera mi farai emozionare”

Giorgio Rossi

(G. D’Ubaldo) – A  ottobre compie 81 anni, anche per Giorgio Rossi è giunto il momento di dire basta. Per oltre mezzo secolo alla Roma, come massaggiatore, ma anche molto di più. Giorgio Rossi è legato a un calcio che non c’è più. Quello delle immagini in bianco e nero, delle tute acriliche, di rapporti umani veri. Giorgio Rossi per alcuni calciatori è stato un padre. Li ha  coperti, consigliati, coccolati, qualche volta viziati. Due scudetti, nove Coppe Italia, due Supercoppe. Nei giorni dei trionfi lui c’era sempre, come c’era anche quella sera maledetta della finale di Coppa dei Campioni all’Olimpico. Un’emozione che chissà quando ricapiterà. In mezzo secolo sono passati alcune centinaia di giocatori, tanti presidenti e allenatori. Lui è sempre rimasto al suo posto, con eleganza, discrezione, senza mai un gesto di rabbia. Stasera all’Olimpico scorrono i titoli di coda. (…)

Giorgio Rossi, una storia lunga 55 anni finisce oggi. Commosso? 

“Un po’ lo sono già ora. Stasera sarò allo stadio. Mi hanno riservato una piccola cerimonia per un saluto finale ai tifosi. Ho sempre avuto un bel rapporto con la curva. Adesso le partite le seguo spesso alla radio. Starò più a casa, mia moglie sta poco bene. Credo di aver dato alla Roma più di quanto abbia ricevuto. E poi ormai quel poco che guadagno se ne va in tasse.Dalla prossima stagione farò l’abbonamento per vedere la Roma in tv”.

Tutto cominciò…

“Nel 1957, con Sacerdoti presidente. Io facevo il Vigile del Fuoco e tra i servizi che coprivamo c’erano anche quelli di Pronto Soccorso. Ci fu un intervento urgente a piazza Lodi. Si faceva a gara con l’ambulanza a chi arrivava prima, io avevo un bravo autista ed ero sul posto prima degli altri. Mi buttarono dentro l’ambulanza un tipo morto da due giorni. Arrivato al San Giovanni il medico di turno mi disse: “che me porti i morti?”. Per fortuna incontrai Roberto Minaccioni, che lavorava all’ospedale. Al dottore gli disse che mia madre Enrichetta faceva l’infermiera al reparto Maternità. Il medico scrisse “giunto cadavere” sulla pratica e me la cavai. Minaccioni, che già faceva il massaggiatore alla Roma, mi corse dietro. “adesso devi fare tu un favore a me. Ci serve un massaggiatore”. Andai con la Primavera di Masetti e Arcangeli al torneo di Sanremo. Vincemmo e quando tornammo il magazziniere Pierino Rovita mi accusò di aver fatto sparire 20 parastinchi. Il presidente mi convocò a viale Tiziano. Pensai che volessero farmi pagare i parastinchi, invece mi propose un contratto. Lo tengo ancora come una reliquia. Però Sacerdoti mi rimproverò:  “Si è perso del materiale, faccia più attenzione…” Da lì cominciò la mia avventura, partendo dal settore giovanile, passando per la De Martino. All’inizio continuai a fare il Vigile del fuoco, poi passai in ospedale, come infermiere. La Roma era il doppio lavoro, in ospedale mi avevano autorizzato. Tornavamo dalle trasferte e portavo i giocatori acciaccati a fare i controlli al San’Eugenio. Alla Roma ho sempre avuto contratti annuali. Solo Viola una volta mi fece firmare per due anni. Dal ‘79, con Viola, mi occupai solo di calcio, dopo 10 anni al San Giovanni e 18 al Sant’Eugenio. Viola mi diceva: “ti pago poco perchè hai anche lo stipendio da infermiere” . (…)”


E’ dura chiudere dopo tanto tempo?

“Mentalmente mi ero già preparato. Dopo più di mezzo secolo era inevitabile. In panchina avevo diradato le mie presenze, già da quando c’era Lucchesi direttore generale. Ma ho vissuto grandi emozioni. Una delle ultime qualche anno fa, in occasione di un compleanno, De Rossi dopo un gol mi venne ad abbracciare. Un gesto affettuoso, di un ragazzo al quale voglio bene come a un figlio. Quando nacque la bambina chiese a Spalletti il permesso di lasciare il ritiro. Il tecnico lo accordò a patto che fosse accompagnato da qualcuno della Roma. Andai io con lui. Totti pure lo conosco da piccolino. Da quando la madre Fiorella lo accompagnava ad allenarsi a Trigoria. Strano che non abbiano ancora pensato a creare una sala d’accoglienza, dove i genitori possano aspettare i figli che si allenano. Ancora oggi restano in macchina, oppure vanno al bar da Quinto”.

Non basterebbe un intero giornale per raccontare tutti i suoi ricordi. Da dove cominciamo? 

“Li metto insieme così, senza un preciso ordine cronologico. Giannini si faceva massaggiare solo da me. I giocatori sono molto legati alle scaramanzie. Lo sento ancora lui, come Aldair, Rizzitelli, Cervone, Comi, Benedetti, Carboni. Ogni tanto qualcuno passa a salutare e mi chiede:  “ma ancora stai qua?” .  “Sono un osso duro”, gli rispondo. Ero molto legato anche ad Agostino Di Bartolomei, mi dispiace non ci sia più. Lo ricordo ancora, aveva sempre una pistola, la metteva sul comodino quando era in ritiro. Quando andavo a dargli la buonanotte, gli dicevo: ‘Agosti’ che ci devi fa’ con ‘sta  bajaffa?’ “

Che razza sono i giocatori?
“Brave persone, tutto sommato. Anni fa mi regalarono un’utilitaria, su iniziativa di Montella. Con me sono stati tutti espansivi e generosi. Tutti tranne Batistuta. Dicevano che era avaro Pruzzo, invece no, mi regalava 50.000 lire per ogni gol. Una volta, dopo una cinquina all’Avellino, staccò un assegno da un milione. Lo stesso accordo lo proposi a Batistuta. Mi disse: ‘ci penso e domani ti do la risposta’: Il giorno dopo venne: ‘ci ho pensato, facciamo che me le dai tu 50.000 ogni volta che segno’. Balbo gli disse pure: ‘se dai 50.000 lire al mese a Giorgio ti compra le lamette, lo shampoo, tutto quello che ti serve ogni giorno’. Neanche quello fece”.

Ha visto quello che è successo a Delio Rossi a Firenze?
“Discussioni ci sono sempre state tra allenatori e giocatori. Desideri aveva litigato di brutto con Ottavio Bianchi, ma quando tornò a giocare all’Olimpico con la maglia dell’Inter corse ad abbracciarlo. Bruno Conti ce l’aveva con Bianchi e con Eriksson. Era alla fine della carriera e lo facevano giocare poco”.

Il 17 giugno del 2001, il giorno dello scudetto, anche lei si prodigò per allontanare i tifosi che erano scesi in campo prima della fine della partita?
“Capello era una furia. Non so quanti tifosi ho colpito con la borsa del ghiaccio. Volevano prendermi anche la cassetta del Pronto Soccorso. Si portarono via tutto. Qualche giorno dopo al bar sotto casa, a Don Bosco, il barista mi disse:  ‘dovresti farmi firmare una cosa’. Tornò con un palo della porta”

I ricordi più amari?
“Ho due spine: Roma-Lecce e Roma-Liverpool. Contro il Lecce il portiere Negretti fece il fenomeno, poi sparì. Forse bisognava preparare meglio quella partita… Prima della finale di Coppa dei campioni Liedholm portò la squadra in ritiro a Cavalese. Faceva vedere sempre le videocassette delle partite degli inglesi. Una maledizione perdere Pruzzo per una colica renale. E non aver avuto Maldera, un altro rigorista. Falcao non ne volle sapere. Il Barone stava mandando Struckely sul dischetto, qualcuno dei leader glielo impedì”.

Gli arbitri? 

“Nel periodo di Zeman ci tartassarono. Lui denunciò il doping e gliela fecero pagare. Una volta a Perugia fu espulso Totti per aver sfiorato l’arbitro con il braccio. Assurda anche l’espulsione di Falcao a San Siro per il  carrinho , parecchi anni prima”.

E’ tornato il calcio scommesse.

“Provo tanta amarezza. I calciatori che guadagnano così tanto che bisogno hanno di scommettere? Ricordo quando arrivò la Polizia e portò via Della Martira, Casarsa, Zecchini”.

La Roma ne è sempre rimasta fuori.

“Sì, non ho mai saputo di partite truccate. Una volta, l’ultima giornata del campionato 78-79, giocammo ad Ascoli, ad entrambe le squadre serviva un punto per salvarsi. Si giocò quasi sempre a centrocampo. Nel finale Valcareggi fece entrare Lattuca, un ragazzo, che partì e con un tiro sfiorò la traversa. Un giocatore dell’Ascoli si avvicinò alla nostra panchina e disse:  “’sto matto non ha capito niente…” . Diciamo che non era una combine, ma le due squadre cercarono di non farsi male. Il presidente Rozzi alla fine venne negli spogliatoi con olive ascolane e vino rosso per festeggiare insieme la doppia salvezza”.

Ha collaborato con tanti allenatori. Come si è trovato con Capello?

“Trattava tutti allo stesso modo. Una volta eravamo in ritiro e avevo aperto un giornale. Lui, pensando di fare una battuta, disse: ‘invece di leggere si occupi dei giocatori’ . Capello ebbe problemi con Cassano. Voleva i giocatori in palestra alle 10,30, Cassano era un dormiglione. Mi chiedeva di svegliarlo un quarto d’ora prima con un bicchiere di latte e un cornetto. Una volta, in ritiro prima di una partita non venne a colazione e andò Capello a buttarlo giù dal letto”.

Agli allenatori può capitare di perdere la pazienza.

“Sì, ricordo Boskov che imprecava in slavo. Spalletti una volta prese per il collo Vucinic, al termine di una partita con la Juve a Torino. Anche lui, se gli partiva la brocca, non era tenero. Mi riempiva di complimenti, era affettuoso. A Natale faceva un regalo a tutti, anche alle signore delle pulizie”.

Zeman parlava poco.

“Di solito voleva la colazione in camera. Caffè, un succo di frutta e i giornali. Quando arrivavo non riuscivo a trovarlo in quella coltre di fumo. Consumava non so quante sigarette. I giocatori li spremeva come limoni. Forse trasmetteva troppa pressione e alla fine della stagione c’era un certo calo. Ma è stato un grande anche lui”.

Come è stato il rapporto con gli spagnoli?

“Non ho avuto molti contatti. Sono molto scrupolosi, seguono i giocatori con meticolosità. I risultati sono quelli che sono, a Roma si deve vincere, il tifoso vuole vincere subito”.

Torniamo indietro. La morte di Morosini ha fatto ricordare la scomparsa di Giuliano Taccola.

“Quel giorno non c’ero a Cagliari, ma mi raccontò tutto Minaccioni. Taccola era stato operato alle tonsille, ma non era guarito bene. Herrera attaccò il medico, il professor Visalli. Lui, pressato, disse a Minaccioni di dargli un antibiotico. Non lo avevano dietro e se lo fece prestare dal medico del Cagliari. Taccola ebbe uno choc anafilattico, si sarebbe potuto salvare con un’infiltrazione di cortisone. Giuliano era un ragazzo d’oro”.

Lei salvò Manfredonia a Bologna.

“Sono stato bravo e fortunato. Quel giorno c’erano 8 gradi sotto zero. Lionello si vedeva che non stava bene. Prima di scendere in campo Bruno Conti gli disse:  “Sei proprio dei Parioli, non vedi come sei pallido?” . Manfredonia aveva l’abitudine di prendere un’aspirina con un caffè prima di scendere in campo. Ebbe qualcosa simile a una crisi epilettica, aveva i denti serrati. Per fortuna avevo con me un paio di forbici e gli sbloccai il morso, prima di fare la respirazione bocca a bocca. Con Morosini non hanno fatto in tempo”.

Il doping è stato sconfitto nel calcio?

“Sì, oggi i controlli sono rigorosi. Adesso i giocatori non prendono niente, al massimo integratori a base di vitamina C. Una volta non c’erano i controlli di adesso. Mi è rimasto il dubbio che un allenatore qualcosa facesse. Quando era alla Roma prendeva i premi anche per i risultati delle giovanili. Prima di una finale scudetto della Primavera venne negli spogliatoi e chiamò i giocatori uno per uno nel bagno, mi auguro solo per un caffè molto forte. Qualcuno si sentì male, un altro saltava come un grillo. Lo scudetto lo vinsero gli altri”.

Ha conosciuto tanti presidenti. Cosa ricorda di Ciarrapico? 

“Conosceva poco i giocatori. Una volta scambiò un magazziniere per un attaccante. Con noi era simpaticissimo e gentile. Era molto attaccato ai soldi, il suo ragioniere Monini non gli dava tregua. Alla squadra non ha mai fatto mancare niente. Ricordo che non si è mai vista tanta acqua minerale a Trigoria come in quel periodo…”.

E con i nuovi dirigenti come si è trovato?

“Con me si sono comportati benissimo. Sabatini l’ho ritrovato un po’ invecchiato.  “Che emozione rivederti…” , mi ha detto quando ci siamo incrociati a Trigoria. Me lo ricordo giovanissimo, da calciatore. Lo chiamavano  scopetta per i capelli lunghi e le gambe magre. Era chiuso da Bruno Conti. Anche lui fuma troppo, come Zeman”

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