IL ROMANISTA La squadra va a prendersi i fischi

Totti sotto la Sud

(C. ZUCCHELLI) – «Solo la maglia, tifiamo solo la maglia», canta la Sud quando manca poco all’inizio della partita.

E la “sciarpata” che, sulle note di “Roma, Roma, Roma”, anticipa l’ingresso in campo delle squadre è emblematica a riguardo. Perché non saranno certo i risultati negativi (pochi o tanti che siano) a scalfire l’amore dei tifosi per i propri colori. Lo ripeterà più volte, la curva, quel coro nel corso della partita.

E’ forse l’unico modo che ha per far capire alla squadra che la Roma esiste al di là del tecnico e dei giocatori. Ma anche che dipende solo da questi se si vorrà modificarne l’atteggiamento. La lettura della formazione giallorossa è infatti accompagnata anche stavolta dai fischi, per quasi tutti i giocatori (manco a dirlo, si salva solo il capitano). Tutto nella norma, quindi, a tre giorni dalla sconfitta con la Fiorentina e a sette da quella con la Juventus. Così come lo è lo striscione che, prima dell’inizio, fa la sua comparsa al centro della Sud. «Anche se ormai è segnata la vostra sorte – c’è scritto – per la nostra maglia canteremo fino alla morte».

Il messaggio è chiaro, nella serata in cui si affronta il Napoli e più che mai sembrano essere in gioco i destini di un’intera stagione, per squadre, tecnici e giocatori. Una sfida che non ha mai fatto mancare motivi di tensione e che era infatti iniziata già fuori dello stadio, con i controlli severi delle forze di polizia, soprattutto nei riguardi di chi era diretto verso il settore ospiti. Controlli perfino nei bagagliai delle auto che transitavano dalle parti della Nord, Al di là dei soliti sfottò, il clima è comunque tranquillo all’interno dello stadio, dove gli spazi vuoti sono peraltro sempre più larghi. (…)

Eppure, come già contro l’Udinese, lo scorrere dei minuti conferma quanto più volte sperimentato. Ovvero, che il dissenso c’è, nei confronti di tecnico e giocatori, ma la tifoseria è ancora una volta pronta a metterlo da parte se vede la squadra impegnarsi in campo e non venir meno al dovere di battersi con orgoglio e dignità. Quella più volte reclamata dal popolo giallorosso, anche attraverso i suoi rappresentanti, ma troppo spesso infangata con prestazioni umilianti, per la squadra ma ancor più per la tifoseria. E che la squadra sia scesa in campo con un altro atteggiamento rispetto a quello visto tre giorni prima appare chiaro quasi subito. Anche senza brillare, si torna infatti a creare occasioni. E così come le si crea, le si spreca. Clamorosa quella di Gago, in cui era certamente più difficile mettere la palla fuori che dentro la rete. La gente capisce, e se l’incitamento, anche solo per la maglia, era già stato ininterrotto, da lì in poi si è fatto ancora più incisivo e convinto. Al gol di Marquinho, si torna ad esultare, ancora una volta in modo liberatorio. (…)

La partita, in questo senso, è paradigmatica. Il pari del Napoli all’inizio della ripresa fa, ahimé, rientrare quel minimo di entusiasmo che si era ricreato, e il gol del 2-1 a metà del secondo tempo non fa che azzerare quanto prodotto in quarantacinque minuti e riportare tutto al clima pre-partita. Insomma, ai fischi, tanti, sempre più forti, e all’immancabile «Andate a lavorare». Il gol di Simplicio evita, sì, la sconfitta, ma non cambia le sorti di una stagione. E al 90°, il coro è quello che era lecito attendersi: «Sotto la curva!». Dove la squadra si dirige a testa bassa per scusarsi e incassare le contestazioni. Per tutti, uno solo escluso: «Un capitano, c’è solo un capitano…». Ma anche «Luis Enrique dove sta?

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