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LA REPUBBLICA Roma, in onda la stangata fallita: “Sono massoni, è una cosa atroce”

DiBenedetto Baldissoni

(C. Bonini) – Ricordate la storia raccontata da “Repubblica” il 17 marzo? La stangata alla vaccinara ai danni della Roma calcio che voleva far passare il suo direttore generale Franco Baldini e il consigliere di amministrazione Mauro Baldissoni, come due loschi massoni? Ma sì, quella su cui ora indaga la Procura di Roma e che mette insieme un giornalista in pensione, Roberto Renga, suo figlio Francesco, una voce delle radio “libere”, Giuseppe Lomonaco, e il suo principale, Mario Corsi, detto “Marione”, un tipo passato dalla militanza neofascista alla predicazione alla curva, di cui si è fatto industria. I quattro, indagati e risentiti, avevano smentito, minacciando querele e invitando ad attendere, perché il tempo sarebbe stato galantuomo. Bene, ieri, le “Iene” hanno mandato in onda le immagini e le voci della “bufala” che loro hanno scoperto, filmato e registrato di nascosto, e da cui questa storia è cominciata. Una magnifica piece neorealista. L’avventuroso manipolo di “sola” (così a Roma viene definito chi prova a rivogare la fuffa) appare eccitato dalla carta straccia che ha in mano (finte intercettazioni di sms che accreditano la “fratellanza” di Baldini e Baldissoni) e vuole rifilare alla iena Paolo Calabresi. «La cosa è atroce – dice con enfasi grottesca Renga – perché si evincono due cose. Uno: c’è la massoneria ed ecco perché non capivamo la Roma agli americani. Due: hanno cose terrificanti da nascondere». Peccato non sia vero e Calabresi non sia un fesso. «Ma tu sei certo della fonte che ti ha dato queste carte?», chiede. « – fa lui – lo sono perché sennò…». Poi suggerisce anche come confezionare il pacco: «Io sai come l’avrei pubblicato? Fotografato, facendo vedere con il bianchetto cancellato. Questi sono i dirigenti del calcio italiano. Che è uno scoop, comunque ». Non è uno scoop, ma una pizza di fango, sulla cui bontà si spertica però anche Lomonaco. Dice a Calabresi: «La storia secondo me è assolutamente vera. E’ una cosa grossissima». E poi, per non guastare, spiega che il materiale a Renga lo ha passato Mario Corsi. «Qua è come se ci fosse un unico gruppo di lavoro, diciamo». Potrebbe finire qui. Ma Roma e il calcio sono pieni di sorprese. E in questa storia, per una singolare coincidenza, fa ora “capoccella” il nome di Luciano Moggi. Ascoltato in Procura dal pm Paola Filippi, Paolo Calabresi racconta infatti un curioso episodio. Pochi giorni prima che la velenosa patacca diventi di pubblico dominio, la iena riceve una telefonata dall’ex dg della Juventus. I due non si sentono da più di due anni, ma Moggi ha urgenza di incontrarlo. Gli dà appuntamento nello studio di uno dei suoi avvocati, a Roma. Che avrà mai da dirgli? Al pm, Calabresi racconta che Moggi gli chiede notizie di suo figlio, un ragazzo che gioca nelle giovanili della Roma («Mi dicono che è forte. Ma sei tu il padre?»), quasi a lasciar intendere che potrebbe anche farlo seguire da qualche procuratore, salvo poi condurre la conversazione su inutili facezie. Si dirà: che c’entra? Forse nulla. Se non fosse che Procura e Digos, il 17 mattina quando “Repubblica” è in edicola, restano colpiti dalle parole con cui Renga reagisce alla vergogna che lo ha travolto. «Non ho nulla di cui preoccuparmi. Forse dovrebbe esserlo chi ha un figlio che gioca nella Roma». Povero ragazzo. E povero Moggi. Che sfortuna parlare del figlio della Iena proprio in quei giorni.

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