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IL ROMANISTA. Nè ialiano nè spagnolo: Luìs Enrique in 10 mosse

Luis Enrique

(Il Romanista) – Luis Enrique s’è talmente italianizzato che proprio per questa trasferta della svolta a Napoli ha eliminato la consuetudine più italiana che ci sia: il ritiro. S’è scritto per una settimana della Roma che va in treno il giorno della partita e ritorna col pullman la sera stessa. E vai coi reportage da Spagna, Inghilterra, i riferimenti obbligati a Cruyff e a tutta quell’Olanda là, che poi è la scintilla che infiammò Barcellona trasformando per sempre la Catalogna calcistica in quello che è adesso. L’abolizione del ritiro consentì alla Roma di Spalletti di diventare la Roma di Spalletti. Era la vigilia di Roma-Basilea, metà dicembre, la società disse di no, ma l’allenatore pubblicamente difese la sua posizione che era la stessa della squadra. La Roma vinse 3-1. Probabilmente segnarono Lamela, Osvaldo e Simplicio. (…) Basterebbero le parole di Francesco Totti dopo la partita a chiudere la discussione. Non tanto la dedica perché quelli che vogliono aver ragione l’hanno persino interpretata come un contentino (!) da dare all’allenatore che peggio di Galileo avrebbe abiurato a tutte le sue idee tecnico-tattiche (!!!), come se Totti avesse bisogno di queste cose, come se la parola di Totti non pesasse di per sé e non andasse da sola oltre tutto questo. Non la dedica da capitano e da grande romanista, ma semplicemente quello che Totti ha detto sul modo di giocare:«Luis Enrique vuole che attacchiamo e copriamo tutti insieme, è quello che ci ha sempre chiesto». Poco dopo hanno fatto eco a queste dichiarazioni, quelle di Rosi. Per non citare Simplicio – pure reietto dall’asturiano – che ha «Luis Enrique mi abbia pronosticato il gol». Come se il tecnico addirittura ci capisse di calcio, come se la sua scelta non fosse casuale… Strana la vita: sono i giocatori a dire che giocano come vuole il proprio allenatore, ma per la stragrande maggioranza della critica non è così. In fondo è logico: c’è del metodo nella sua pazzia, diceva Polonio. E ne era convinto. Aleandro Rosi e Rodrigo Taddei, loro c’erano per esempio, e uno come Taddei pare esserci sempre stato. Vero che forse a Napoli non sono stati tra i migliori, anzi, ma in questo discorso sono due perle, due esempi puri. Taddei soprattutto. Se c’è un uomo, un giocatore che per definizione – giustamente – era stato definito di Luis Enrique, quello era Josè Angel, lo spagnoletto tutto sale e pepe sul mancino venuto proprio da Gijon (una fede) e schierato sempre fino a un certo punto, cioè fino al punto in cui Luis Enrique ha cambiato lui la Roma. Angel all’inizio sembrava la certezza a sinistra. Quando per la prima volta – e per squalifica – Luis Enrique ha dovuto sostituirlo e ha sceltoRodrigo Taddei a San Siro apriti cielo! È venuta giù tutta la Santa Inquisizione. “Ma come si fa a giocare con Taddei a sinistra??”. Mossa naif, mossa strafottente, mossa senza senso. A Napoli nella italianissima Roma di Luis EnriqueRodrigo Taddei era a sinistra. E a destra c’era Aleandro Rosi. Che sta alla Roma praticamente da sempre, che secondo Spalletti sarebbe dovuto sbocciare nel giro di due anni, ma che fino a quest’anno era vissuto e considerato un esubero o un peso. Se son Rosi fioriranno (…)

La settimana passata è passata scrivendo e chiedendo convintamente a Luis Enrique di confermare Daniele De Rossial centro della difesa della Roma. Troppo forte, troppo grande contro la Juventus. S’erano sprecati confronti ingenerosi con Franz Beckenbauer (ingenerosi per Beckenbauer), s’era sottolineato come in un momento del genere, in uno stadio come il San Paolo, contro un super avversario come il Napoli, De Rossi al centro della difesa fosse una necessità, una sicurezza, anche psicologica per la squadra. Il rigore di Di Bartolomei per primo. Bene Luis Enrique, che è notoriamente un tipo che si fa condizionare dalla stampa – soprattutto in conferenza – ha ascoltato tutti, cioè nessuno, e ha rimesso Daniele De Rossi a fare il volante davanti alla difesa. L’ha rimesso dove lui in questa stagione se l’è reinventato, dopo esserselo reinventato – inedito assoluto – come difensore centrale. E’ guardando all’uomo migliore che si capisce di chi sia questa Roma. (…) Più seriamente. I continui cambi di formazione di Luis Enrique sono stati davvero sistematici, ma nel senso che non sono stati un vezzo, né una sperimentazione in diretta sulla squadra o addirittura sulla pelle dei tifosi. Ma lavoro. Luis Enrique ha cambiato uomini alla Roma un po’ per trovarla, un altro bel po’ per necessità e il restante perché è il suo metodo. Lo ha sempre detto: «Il modulo cambia in base agli uomini che l’interpretano» (è un po’ come l’eterna querelle sull’improvvisazione della Commedia dell’Arte). Il reparto d’attacco è – come direbbero – emblematico: si può sostenere che Totti, Lamela e Osvaldo sono il tridente titolare della Roma (…)

 

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