IL ROMANISTA. Memoria a strisce sotto quel bel ciuffo

 

Antonio Conte

Cos’ha in testa Antonio Conte? Un’Idea Meravigliosa. No, non stiamo parlando di quella che lo accomuna a Cesare Ragazzi, testimonial di uno spot passato alla storia come primo campione dei trapiantati d’Italia ben prima di Silvio Berlusconi. Bensì quella di vincere al primo tentativo lo scudetto con la squadra di cui è stato bandiera, impresa che il vecchio compagno d’armi Ciro Ferrara mancò clamorosamente finendo per cedere il posto a uno Zaccheroni qualunque.  Ma Antonio Conte da Lecce ha le spalle larghe e soprattutto un’indiscutibile capacità di sapersi muovere nel difficile mondo dell’italico pallone, dote cruciale ben più delle sue indiscutibili capacità di allenatore. Nella schizofrenica Juventus post-Calciopoli, che da un lato sembra aver rimosso l’era della Triade e continua a richiedere scudetti e risarcimenti danni, Antonio Conte sembra aver ritrovato il suo ambiente naturale. Comprensibile. Tredici anni da calciatore con la stessa maglia sono difficili da scordare, anche se è meglio non fare affidamento sulla memoria del salentino che nelle situazioni difficili va ad intermittenza, come testimoniano la selva di «non ricordo» nel processo per doping condotto da Guariniello contro il medico sociale Agricola.La fase difensiva era il suo forte già allora e pazienza se la sua carriera in panchina nasce dall’indubbia intercessione della potente Gea, l’agenzia parte integrante del “sistema” moggiano.

De Canio, cliente Gea come Conte, lo impose come suo vice a Siena salvo perderlo come collaboratore solo l’anno successivo quando l’ex capitano della juve colse al volo l’occasione di provare le proprie capacità in serie B sulla panchina dell’Arezzo. L’impatto con il nuovo ruolo fu duro e dopo pochi mesi la dirigenza aretina decise che per salvarsi non era possibile adottare un modulo spericolato come il 4-2-4 che era l’orgoglioso marchio di fabbrica di Conte e lo esonerò. Chissà se in quei mesi di inattività a cavallo del 2007 Conte avrà pensato alle sue bellicose dichiarazioni d’intenti nella sua prima intervista da mister. «Un giorno allenerò la Juventus – dichiarò con presunzione – Il problema non è se, ma quando accadrà. Non ho alcun dubbio che ci arriverò, è solo una questione di tempo». Mesi dopo ebbe la sua seconda occasione, richiamato d’urgenza dall’Arezzo per evitare una retrocessione che sembrava inevitabile. Con un incredibile filotto di vittorie la salvezza era ad un passo. Ma proprio la sua Juventus lo tradì andando a perdere una partita che se la squadra bianconera non fosse già stata spedita in B per Calciopoli si sarebbe potuta tranquillamente definire da Ufficio Inchieste. Sconfitta in casa 2-3 con lo Spezia, avversario diretto dell’Arezzo di Conte che quel giorno, retrocedendo in C, pronunciò parole di fuoco contro la sua ex squadra. Quattro anni dopo sono stati i tifosi bianconeri a fare uso della memoria selettiva usata dall’ex capitano davanti a Guariniello, imponendo la scelta di Antonio Conte come nuovo allenatore a suon di cori e striscioni. Archiviati il troppo romano Ranieri, l’acerbo Ferrara e il velleitario Delneri, Antonio Conte parve alla folla l’unica soluzione per riassaporare la sicumera e l’antipatia della Juventus di Lippi, magari senza doping.

D’altronde l’ex capitano, con i suoi nuovi capelli da 10mila dollari, aveva inanellato due promozioni consecutive in A con Bari e Siena, facendo dimenticare in fretta il fallimento a Bergamo in un’Atalanta troppo condizionata dagli umori del riottoso Capitan Doni. Emulo di Mourinho per atteggiamento tattico e modo di porsi di fronte al gruppo, l’allenatore salentino non ha mai rinunciato al suo 4-2-4 convincendo Marotta a mettergli a disposizione uno sproposito di ali che alterna nell’undici titolare e che spesso, proprio come faceva il tanto vituperato Delneri, ama invertire durante la partita. La sua Juventus, unica squadra imbattuta del torneo, sembra aver trovato un equilibrio senza Del Piero, ormai retrocesso a Capitano Non Giocatore, con la regia sapiente del ringiovanito Pirlo e gli inserimenti in zona gol di Marchisio, sempre più sosia di Marco Tardelli. Lo schieramento tattico assomiglia ormai al classico 4-4-2 con gli esterni bassi bloccati che farebbero venire
l’orticaria a Luis Enrique. L’asturiano gli invidia semmai la grinta che riesce a trasmettere alla sua squadra e che rende meno visibili le crepe di una difesa non impenetrabile, con Barzagli a recitare l’inatteso ruolo di leader e un Chiellini mai visto così giù di corda. Mancherà Vucinic per infortunio ed è una bella notizia sia per chi tra i tifosi romanisti non ama veder indossare a un proprio beniamino la maglia bianconera, sia per quelli che temono la legge dell’ex, sempre puntuale quando si tratta di colori giallorossi. Dovrebbe sostituirlo Giaccherini, con Estigarribia a contendere il posto ad un certo Del Piero. Visto lo score di quest’ultimo con la Roma, speriamo che ad Antonio Conte stavolta venga in mente l’Idea Meravigliosa di scegliere gli undici sbagliati. Hai visto mai…
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