CORRIERE DELLO SPORT. Roma, non c’è traccia del progetto

Thomas Di Benedetto

(A.Vocalelli) –  La domenica si è chiusa con due squadre in primo piano, per motivi opposti. Juve capolista da una parte, Roma sempre più in crisi dall’altra. Che tra l’altro si affronteranno lunedì prossimo all’Olimpico. (…) Sempre per trovare – perchè c’è – un filo conduttore, va detto subito che anche quello bianconero è un “progetto”, definizione tanto cara nella Capitale. La Roma, ribadiamolo a scanso di equivoci, ha un gruppo di giocatori di altissimo livello (molto vicino a quello della Juve), ma non ha un’anima, una quadratura tecnica e un principio di gioco. Sì, perché il possesso del pallone, come scrive giustamente Alberto Polverosi, non può essere un mezzo, ma deve essere un fine. E nella Roma questo fine non c’è, perché la Roma è capace di non tirare in porta per novanta minuti. Ci dicono: la partita di Firenze, in cui però si è visto un gruppo che ha cominciato a seguire le indicazioni di Delio Rossi, è stata decisa da errori individuali. Verissimo, ma proprio questo è il punto. La Roma e Luis Enrique non vogliono essere giudicati per un risultato e dunque non lo faremo. Il problema è che la Roma, dopo cinque mesi di lavoro (che non sono pochi in un mondo che brucia tutto in due settimane), è un cantiere aperto, una squadra senza certezze, senza sicurezze, senza punti di riferimento.

I risultati dicono che la Roma è stata eliminata da una modestissima squadra nei preliminari di Europa League e ha già perso sei partite di campionato. Ma soprattutto la Roma, come dicevamo, è una squadra senza certezze. Non hanno certezze gli stessi giocatori: alzi la mano chi sente di essere un punto fermo in uno specifico ruolo. Neppure De Rossi ha ben capito se è il playmaker o l’interno, neppure Pjanic ha capito se è un interno o un trequartista, neppure Lamela ha ben capito se è un trequartista o una punta. Lo stesso Cicinho deve essersi sorpreso di essere stato inserito tra i titolari. Ma la Roma, come dicevamo, è anche una squadra senza sicurezze. Non è importante quanti o quali gol abbia incassato. Il problema è uno solo: ogni volta che le squadre avversarie superano la metà campo, danno l’impressione di poter far gol. Una spregiudicatezza, o piuttosto un disequilibrio, per nulla compensati dalla redditività in attacco. E’ su questo che deve interrogarsi la Roma, più ancora che sui risultati. (…) Facciamo l’ipotesi che i risultati non contino. La domanda è un’altra: la Roma è contenta di quanto la squadra ha costruito in questi mesi? Non pensa piuttosto che, a differenza di quanto ha fatto Conte alla Juve, ci siano poche certezze, siano stati svalutati alcuni giocatori importanti, non ci sia ancora traccia del famoso progetto?

Luis Enrique a partire dalla Juve potrà anche dare una svolta e, come crediamo, potrà ancora trarre da questo gruppo le enormi potenzialità che ha. Ma al momento dov’è la «differenza» promessa? La difesa è pericolosamente esposta ad ogni attacco, il centrocampo ondeggia sempre, l’attacco non riesce a finalizzare per quanto la squadra (almeno a parole) produce. Qui non è in discussione il risultato, ma lo svolgimento. E sarebbe il caso di cominciare a parlarne. Non può essere un dogma il risultato, ma non può essere un dogma neppure un’Idea. Anche perché il risultato (sembra quasi una bestemmia a pronunciarlo…) produce altri risultati attraverso i piazzamenti e la partecipazione alle Coppe, le idee rischiano di essere semplicemente un esercizio. Ci pensi la Roma, ritrovando quella «normalità» che abbiamo invocato da agosto (le collezioni sono a disposizione), perché la squadra c’è ed è di alto profilo. E anche con tutti gli squaificati e assenti la sfida con la Juve sarà molto più aperta di quanto si pensi. Anche perché, per seguire una battuta che è cominciata a circolare ieri sera a Roma, non ci sarà il rischio di… sbagliare formazione. Ci sono i reduci e quelli giocheranno, con la possibilità di essere concentrati già da adesso e la possibilità di provare la stessa formazione «obbligata» per tutta la settimana.Certo è che dalla sfida di Firenze esce rigenerata solo la squadra viola che pure attraversava un momento delicato. La prestazione di Jovetic ha confermato ancora una volta quanto abbia inciso la sua assenza nell’ultimo anno e mezzo e quanto di buono si può ricominciare a fare. La società è solida, l’allenatore è di alto profilo, la squadra ha comunque delle potenzialità. Basterà in futuro tenere esclusivamente chi si riconosce nella causa comune.


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