IL ROMANISTA. “La Roma americana un’idea di comunità”

(D.Giannini) Professore universitario e Presidente della H3G. Ma non solo, Cesare San Mauro è tante altre cose. Tra le quali un grande tifoso della Roma. Praticamente da sempre, da quando era bambino con la tessera del Roma Junior Club, da quando ammirava la Roma di Helenio Herrera. E che ora è curioso di vedere quanto in alto può arrivare la nuova Roma americana.

Cominciamo da giovedì scorso, dal Cda nel quale Thomas Richard DiBenedetto è stato ufficialmente nominato presidente e che, di fatto, ha dato il via alla nuova era romanista. Che ne pensa?Intanto penso che in generale, a livello italiano, il fatto che un gruppo straniero internazionale investa in Italia è una cosa positiva. Perché vuol dire che abbiamo una capacità di attrazione e che la sfiducia che c’è attorno al nostro Paese, per lo meno per quello che riguarda la Roma, non ha colpito. Ci sono delle splendide eccezioni a questa sfiducia, come quella rappresentata da questo gruppo americano che, come avviene per i college negli Usa, vede lo sport come elemento fondamentale della formazione umana.

Forse non è un caso che la Roma sia il primo caso di grande società calcistica italiana in cui ci sia stato l’avvento di capitali stranieri. E’ sicuramente una cosa positiva. D’altronde il monumento italiano più famoso nel mondo è il Colosseo. Lo è più della Torre di Pisa, più della laguna di Venezia. La riconoscibilità a livello mondiale è altissima. Quindi è chiaro che il marchio Roma è appetibile ed è normale che sia così. Peraltro mi piace che questa proprietà sia americana, perché gli americani hanno della squadra sportiva, una concezione porticolare, un forte rapporto con la scuola e con la società civile. E il progetto della squadra è un po’ il progetto della comunità. In qualche modo mi ricorda quello che accade con il palio di Siena che, al di là della passione per l’evento e per i cavalli, è un modo di mantenere i valori di una data contrada.

Una parte dell’idea della nuova Roma ruoterà attorno allo stadio. E’ un po’ quello che dicevamo prima. Nel senso che lo stadio deve diventare un luogo in cui, al limite, ci si può passare tutta la domenica. Perché magari c’è il cinema, delle rappresentazioni teatrali e, perché no, dei supermercati. Un posto dove i bambini possono avere luoghi di divertimento. Io sono stato all’Allianz Arena e lì c’era il Kinderheim, cioè dove i bambini possono giocare, mentre le signore avevano dei negozi dove potevano andare a fare shopping. Quindi lo stadio diventava un punto di aggregazione familiare. Se ce lo faranno fare, sarà un’esperienza straordinaria. Io sono un po’ scettico, perché vedo che le istituzoni locali quando si parla di localizzazione degli impianti sono molto “lunghe”. Gli investitori stranieri investono poco in Italia, non tanto perché non piaccia l’Italia, ma perché non hanno certezza del ritorno degli investimenti. Cioè se devi realizzare un aeroporto o aprire una pizzeria, il problema non è quanto dura il progetto, è che è indeterminato il tempo. Questo per un investitore straniero è inammissibile. Questa è una delle grandi piaghe del Paese.

A proposito di investitori stranieri, nel Cda si è tornato a parlare di un’apertura al possibile ingresso di capitali cinesi, mentre prima si pensava che una quota restasse in Italia. E’ un bene? Io sono presidente di un gruppo che è di proprietà di un cinese, di Hong Kong. Detto questo, i dipendenti sono italiani, così come i top manager e l’amministratore delegato è italianissimo. Voglio dire, è un’esperienza in cui un investitore straniero ha investito qualcosa come 7 miliardi di euro. Quindi, per tornare alla Roma, l’arrivo di capitali stranieri lo vedo come una cosa positiva. La vedrei negativa se l’investitore straniero portasse, imponesse, dei manager loro. Qui ci sono Fenucci, Baldini e Sabatini che sono scelte italianissime. Poi c’è la presenza di un giovane e brillante avvocato come Baldissoni, vorrei citarlo perché è stato uno degli strateghi di questa operazione. Uno che ci ha creduto come nessun altro. Oggi Baldissoni entra, ed entra da persona competente, capace. Insomma è una squadra tutta italiana di cui gli imprenditori internazionali si fidano. Questo è assolutamente positivo.

Veniamo al calcio giocato. E’ iniziato ormai da un po’ questo progetto tecnico affascinante e difficile portato avanti da Luis Enrique. Cosa serve alla Roma coma squadra per arrivare in alto? E’ difficile da dire. Questo è un progetto, una sfida, lui ha puntato su moltissimi giovani. Come in tutte le esperienze di questo tipo, c’è il rischio d’impresa. Può andare bene o può andare male, quindi è molto difficile capire quale possa essere il punto vincente. Se dovessi dire la mia, come appassionato di calcio (l’Italia è un Paese nel quale abbiamo 60 milioni di commissari tecnici della Nazionale e a Roma ci sono 3 milioni di allenatori della Roma), io qualche rafforzamento in difesa con qualche giocatore di maggiore esperienza, qualche puntello, lo vedrei bene. Però sono convinto che c’è qualcun altro che invece vedrebbe bene questi rinforzi in altri settori.

Di Luis Enrique che idea si è fatto? E’ una persona che sicuramente stimola. Io poi sono un tipo un po’ più prudente, anche perché ho 55 anni e l’età ti fa essere un pochino più prudente. Secondo me c’è un solo grande rischio: lui viene da una scuola straordinaria. Sono stato a Barcellona, conosco un po’ la realtà, ma pensare di riprodurre quel modello sic et simpliciter… Al Barcellona ci sono 25 fuoriclasse di livello mondiale… E’ una cosa che non si ripete. E’ un ciclo straordinario. La mera riproposizione del modello per me non può funzionare. Un ambiente fortemente innovativo, puntato sui giovani, che allarghi a delle esperienze diverse, è un fatto positivo. Ripeto, per carattere finisco per essere negli anni un po’ meno entusiasta, però certamente convinto che sia una scelta giusta. Che magari vada contemperata durante il mercato con qualche elemento, a mio avviso in difesa…

Andando sulla sua pagina Facebook si legge tra gli atleti preferiti il nome di Francesco Totti. Che ne pensa del ruolo del capitano in questa nuova fase della Roma? Come premessa va detto che Totti non si discute, si ama. E’ l’identità stessa della Roma. All’inizio, con un allenatore così giovane e forse poco conoscitore della Roma si sono dovuti conoscere. Prima di realizzare un minimo di amicizia e di complicità ce ne vuole. Si sono dovute conciliare esigenze diverse, ma mi sembra che quel momento sia stato superato. A proposito di Totti, tempo fa, mi è capitato di passare con lui un Capodanno. Era quello del 2008, che ho trascorso casualmente con lui e la moglie alle Maldive in un’isola fuori dai tradizionali resort turistici, nell’estremo sud. E lì ho avuto occasione di scambiare qualche conversazione con lui. L’ho trovato veramente un uomo con dei valori umani straordinari, oltre che dalle doti atletiche e agonistiche geniali. Un uomo vero.

Per Totti si immagina un futuro dirigenziale o come uomo di campo? Questo chi può dirlo? Bisognerà vedere anche le sue esigenze. Che si tratti di un ruolo tecnico oppure d’immagine oppure imprenditoriale, dipende da lui. Totti come De Rossi sono pezzi della Roma che non vanno persi in nessun modo. Su Francesco aggiungo che va considerato naturalmente che nel tempo il suo utilizzo in campo sarà sempre più ridotto. Fa parte della vita di ognuno di noi.

Ha nominato De Rossi. Il rinnovo del contratto sembra essere vicino. Parlo da appassionato. Sarebbe un errore non tenerlo. Perché sì, ci può essere un problema di cassa, ma insomma… E poi c’è Baldini che è un fuoriclasse. Insoma le condizioni per una grande Roma sembrano esserci tutte. Bisogna avere pazienza. Percé poi a volte ci si mette di mezzo anche la sfortuna, come nella partita contro il Genoa. E allora viene voglia di giocare un calcio un po’ più tradizionale… Il Genoa ha fatto catenaccio con due che correvano là davanti e tutto sommato qualche volta giocare così porta qualche punto in più. Il fatto è che tutti noi diciamo delle cose, poi però la passione durante le partite ce ne fa dire delle altre.

Che ne pensa dei nuovi acquisti? Mi chiedo spesso se Josè Angel sia un terzino sinistro o un’ala. E’ velocissimo, molto portato all’offensiva. A volte meno nella fase di interdizione. Non voglio fare l’allenatore, non è il mio ruolo. Sottolineo da appassionato un’eventuale valutazione di questo ruolo specifico. E poi c’è Lamela, che si è presentato come un fuoriclasse da 5 stelle lusso. Di quei gol ne vorremmo vedere tanti, mi è piaciuto moltisimo.

Quando è nata la sua passione per la Roma? Io ho un tesserino di abbonato del 1965 con il Roma Junior Club, poi incontrai clamorosamente in un volo per Cagliari, dove andammo a giocarci la Coppa Italia, la Roma di Helenio Herrera. E da quel momento siamo lì, a gioire e qualche volta anche a soffrire.

La Roma a cui è più affezionato? Indiscutibilmente quella di Falcao

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